La vita dei poveri interessa davvero ai grandi della Terra?
Nelle scorse settimane si è tenuta a Roma la periodica assemblea della FAO, organismo delle Nazioni Unite che si occupa di fame e alimentazione nel mondo. Le cronache sull’evento hanno evidenziato la deludente conclusione dei lavori, la gran parte degli osservatori è stata concorde nel dire che è stato un incontro che praticamente non è servito a nulla, non ha risolto nessun problema e quello che è peggio non ha posto in essere cammini di superamento delle drammatiche condizioni di fame e miseria in cui versano più di un miliardo di persone sulla faccia della terra.
Sulla stampa patinata ha fatto più notizia la rutilante performance di Gheddafi e delle sue giovani guardie del corpo, che non le amare pessimistiche relazioni fatte durante il convegno. La conferma del fallimento è stata l’assenza di tutti i Presidenti delle Nazioni del G8 tranne (ovviamente) quella del Presidente del Consiglio italiano che in qualità di padrone di casa non poteva certo mancare. Obama, Sarkozy, la Merkel e tutti gli altri, non si sono fatti vedere e questo la dice lunga sulla volontà politica a livello dei cosi detti “grandi del mondo” di risolvere il problema della fame su scala planetaria.
A questo proposito vale la pena di sottolineare come dei tanto strombazzati otto obiettivi del millennio promossi in sede ONU solo qualche anno fa quali: lo sradicare la povertà estrema e la fame, garantire l'educazione primaria universale, promuovere la parità dei sessi e l'autonomia delle donne, ridurre la mortalità infantile, migliorare la salute materna, combattere l'AIDS, la malaria ed altre malattie endemiche, garantire la sostenibilità ambientale e sviluppare un partenariato mondiale per lo sviluppo, presentati come traguardi irrinunciabili da raggiungere entro il 2015, ormai non ne parla più nessuno con buona pace dei poveri e degli emarginati delle popolazioni del Terzo Mondo. Dopo il fallimento del Convegno della FAO si profila all’orizzonte un altro roboante incontro a livello internazionale, ci riferiamo al convegno mondiale sul clima del pianeta terra, previsto prossimamente a Copenhagen in Danimarca. Presentato come il “più grande meeting internazionale sul cambiamento climatico, tutti gli analisti del settore lo preannunciano già come un rito inutile, per la manifestata intenzione da parte dei paesi più ricchi e industrializzati del mondo (responsabili dell’80% delle emissioni di anidride carbonica) di ritoccare i loro piani industriali che sono in gran parte responsabili dell’inquinamento atmosferico.
Cina e Stati Uniti hanno fatto sapere che non si smuoveranno di un millimetro dalla loro posizione. Va da se che le conseguenze più devastanti di questa situazione si ripercuoteranno sui paesi poveri, che essendo privi di peso specifico negli incontri internazionali, tocca sempre a loro subire le scelte dei potenti fatte sulle loro teste. Inutile aggiungere che anche dal punto di vista finanziario chi ha pagato il prezzo più alto della crisi economica mondiale, sono stati i paesi poveri: la bolla speculativa scoppiata solo pochi mesi fa ha scosso alle fondamenta l’economia di molte nazioni in via di sviluppo; gioverà ricordare che diversi governi africani dipendono in gran parte dagli aiuti stranieri, ovvio che in un periodo di crisi gli aiuti vengano ridotti e che il valore delle monete locali in rapporto alle monete forti quali: euro, dollaro, yen, ecc., ha subito una erosione straordinaria, aumentando di conseguenza il debito estero di questi paesi, mettendo in ginocchio i partner più deboli. L’acqua, l’oro blu del futuro, tema incandescente in diverse aree geografiche del mondo, resta ancora un miraggio per gran parte della popolazione mondiale, intere zone sono ormai soggette alle calamità naturali e la siccità fa capolino in aree dove neanche lontanamente si pensava di avere problemi idrici. Questo argomento così caro alle persone più attente ed impegnate sul fronte della cooperazione ha avuto un riscontro paradossale nella situazione italiana dove un decreto governativo in cui è prevista la privatizzazione dell’acqua sul suolo nazionale, ha superato il primo scoglio dell’iter parlamentare tendente a consegnare un bene così prezioso nelle mani di pochi.
A questi problemi potremmo aggiungere i temi dell’analfabetismo, della miseria generalizzata, della mancanza di un minimo di tecnologia per poter avere una vita decente, che investono gran parte delle popolazioni in via di sviluppo, si tratta di sfide che richiedono da parte di credenti e non, di farsi protagonisti di un progetto di globalizzazione della solidarietà e della giusta ripartizione universale dei beni.
Ciò significa un impegnativo cammino di conversione culturale e spirituale che non possiamo non intraprendere. Al recente Sinodo africano, molti vescovi presenti hanno fatto notare come gli africani stessi siano stufi di ricevere una carità pelosa da parte di europei pasciuti e ben pensanti, e magari devoti osservanti, che mentre danno il loro obolo natalizio ai poveri “negretti”, non pensano minimamente di cambiare il loro stile di vita basato sullo sfruttamento di queste popolazioni. La vera autentica solidarietà con i poveri del mondo ha bisogno di questo primo passo di conversione personale, il non farlo sarebbe già un tradimento del Natale.