Per non dimenticare...
Qualche giorno fa è stata eseguita la condanna a morte, in Iraq, di Alì detto il chimico.
Era il braccio destro di Saddam Hussein, ed è stato ritenuto responsabile del massacro avvenuto nel 1988 di circa 5.000 abitanti di Halabja, un villaggio del Kurdistan iracheno. La sua impiccagione non ha fatto molto notizia. Un’esecuzione quasi ritenuta scontata e anche giusta.
È importante – proprio oggi, giornata della memoria – non dimenticare!
Queste mie poche righe allora per non dimenticare il massacro dei curdi, (sono stato in Kurdistan diverse volte, l’ultima lo scorso settembre) ma anche per dire una condanna netta alla pena di morte, senza se e senza ma.
Un Paese come l’Iraq che vuole uscire dal pantano in cui si trova non può contare sulla pena di morte e... sul silenzio complice della comunità internazionale e dei Paesi amici. Pochissime voci si sono levate in questo senso. E poi, si sa, oggi l’Iraq non fa più molto notizia.
Allora è importante non dimenticare che ai tempi del massacro dei Curdi da parte di Saddam Hussein, anche l’Italia aveva stretti legami economico-militari con il dittatore di Baghdad. In un incontro a Brescia, nel 2003, qualcuno dal pubblico era intervenuto sostenendo che anche l’Italia era tra i fornitori del gas usato per i massacri. Non ne ho le prove.
È invece documentato e noto a tutti che l’Italia ha venduto una quantità enorme di mine anti-persona (almeno 9 milioni!) a Saddam che le ha disseminate in Kurdistan. Lo scorso settembre, il vescovo di Zakho mi diceva che non può andare nella casa dove è nato perchè il terreno è ancora disseminato di mine, ahimè, italiane!
Quella condanna ad Alì, come quella a Saddam, è anche un po’ per tutti noi: per le nostre complicità e i nostri silenzi di fronte ai crimini. Ieri come oggi.
In alcuni bar della zona di Reggio Emilia stanno girando, da tempo, bustine di zucchero con una barzelletta pesante sull’olocausto. Alcuni abitanti di Scandiano (RE), hanno gridato la loro indignazione, si sono ribellati, hanno rotto il silenzio dicendo che “l'indifferenza e la banalizzazione anche oggi possono uccidere.”
Risuona come un monito, pesante ma indispensabile, quanto scrive Primo Levi ne ‘La ricerca delle radici’: “Non ci sono demoni, gli assassini di milioni di innocenti sono gente come noi, hanno il nostro viso, ci rassomigliano. Non hanno sangue diverso dal nostro, ma hanno infilato, consapevolmente o no, una strada rischiosa, la strada dell'ossequio e del consenso, che è senza ritorno”.