Caro Prof. De Rita
Caro prof. De Rita, personalmente l’ho sempre stimata quale attento lettore della società italiana. Ho sempre ritenuto che il Censis che lei presiede sia uno strumento credibile e importante di indagine statistica della nostra realtà. Con totale fermezza però voglio dissentire con quanto da lei affermato nell’intervista apparsa su La Stampa del 3 marzo scorso. Rispondendo alle domande dell’intervistatore sulle forme di illegalità diffusa e sui comportamenti eticamente scorretti che caratterizzano molta parte della politica, dell’economia e del costume, lei afferma che “Tutto ha inizio con don Lorenzo Milani e l’obiezione di coscienza. Ci voleva una autorità morale come la sua per dire che la norma della comunità e dello Stato è meno importante della mia coscienza. È da lì che inizia la stagione del soggettivismo etico....”. Al contrario io ritengo che ben altre siano le radici dell’illegalità utilizzata per affermare privilegi e interessi, profitti e vantaggi. Quando don Milani viene imputato di “apologia di reato” (crimine scomparso dal nostro ordinamento) vuole affermare il valore della coscienza e non difendere la cassaforte di qualcuno. Don Milani indica la strada maestra della partecipazione attiva per rendere più giusta la nostra convivenza e non il cerca scorciatoie facili per il proprio tornaconto.
Giusto per ricordare: don Milani non si sottrarrà al processo. Una grave malattia gli impedirà di essere fisicamente presente in tribunale. Sarà condannato dopo la sua morte. Oggi assistiamo alla produzione di leggi ad hoc e furberie in serie che spesso permettono ai rei di farla franca.
Anche questa non mi sembra una differenza di poco conto. Per il resto la invito a rileggersi con attenzione la Lettera ai giudici.