Principi non rinunciabili
Ritorna spesso nel nostro linguaggio ecclesiale, anche ai livelli più alti, l’espressione di “principi non rinunciabili”, che i politici cristiani – nel nostro caso cattolici – dovrebbero tener presenti nell’ambito dell’attività legislativa, e che i cittadini credenti dovrebbero sempre valutare, in particolare al momento delle elezioni. E normalmente si cita la realtà della vita, soprattutto al suo inizio e al suo termine, e quella della famiglia, soprattutto al momento del matrimonio. Ed è più che doveroso, perché se è vero che non si tratta di obblighi bensì di concessioni, cosicché un cristiano rimane sempre libero di osservare la linea richiesta dalla sua fede, è anche vero che il permissivismo civile può indurre anche a un permissivismo morale.
Quello che, invece, più facilmente intacca la coscienza morale, anche perché non v’è l’insistenza del magistero ecclesiale – soprattutto ai livelli più popolari – è da una parte il monito costante di Gesù, che cioè la primaria alternativa a Dio, e quindi a una vita veramente spirituale (anche cristiana), è “mammona” (v. Mt 6, 24 e Lc 16, 13), cioè l’idolo della ricchezza comunque raggiunta e del potere (vero idolo della nostra diffusa cultura occidentale, anche italiana), dall’altra il permissivismo sociale, cioè l’interesse privato, anche di gruppi o di comunità (delle stesse comunità religiose, che talora utilizzano il machiavellico “il fine giustifica i mezzi”) contro il “bene comune”, l’evadere la legge utilizzando tutti gli espedienti possibili, anche con la mediazione di professionisti particolarmente abili, e lo smaccato esempio di infrazioni alla moralità pubblica e privata di chi gode di situazioni di privilegio.
Credo allora che da una parte la sobrietà e dall’altra l’onestà e la trasparenza nella vita sociale siano davvero principi irrinunciabili per i cristiani, dal momento che il centro del messaggio evangelico, prima ancora della libertà che non di rado può finire nell’individualismo, siano proprio da una parte la chiarezza nell’agire (“sia il vostro parlare sì, sì, no, no; il di più viene dal maligno” – Mt 5,37 e Gc 5,12), e dall’altra, soprattutto l’amore – caratteristico di Dio-Trinità – che si esprime nell’attenzione all’altro, nella solidarietà.
Ci rammarichiamo spesso di una gioventù senza norme e con scarsi ideali, e non ci rendiamo conto che è la conseguenza di esempi dati da chi, invece, dovrebbe incoraggiare con la vita prima che con la parola. Penso al cattivo esempio che diamo talora anche noi, gerarchia ecclesiale, con eventuali cattivi comportamenti disordinati in campo sessuale, ma anche in quello economico. E penso quanto dovremmo forse essere più chiari e più tempestivi nel richiamare il rispetto della sincerità e della sobrietà, della legalità e della solidarietà, anche quando vengono manomesse da chi forse “predica bene”, ma certo “razzola male”.