Immigrati per la patria
Se a qualcuno capiterà, nel corso del 2010, di vedere o avere tra le mani il tradizionale calendario (vero oggetto di cult tra gli intenditori) che l’Esercito Italiano pubblica ogni anno, noterà certamente l’attualità del tema di quest’anno: “Soldati d’Italia – I nuovi volti di un esercito senza confini”.
“Argentina, Senegal, Slovenia, Romania, Sudan, Bielorussia, Cuba, Filippine, Etiopia, Gran Bretagna, Turchia, Polonia, Ungheria, Somalia, Marocco, Repubblica Ceca, Sri Lanka, sono questi”, si legge nel comunicato di presentazione, “i Paesi di origine dei soldati italiani che hanno posato per il CalendEsercito 2010. Giovani di origine straniera che hanno scelto di essere italiani e di prestare servizio nell’Esercito e rappresentano gli oltre 1500 soldati italiani di diversa provenienza etnica”.
E poi ci viene detto che “il filo conduttore del Calendario è quello della integrazione multietnica che vede nell’Esercito un’istituzione consapevole e pronta a educare/formare alla convivenza democratica. Una Forza Armata efficiente e moderna capace di operare in Patria e in ogni area del globo terrestre, con tutto il suo personale indipendentemente da diversità di etnia, cultura, religione”.
E altre Forze disarmate?
Calendari a parte, dunque, il servizio (militare) alla patria, da parte di giovani che certamente non possono vantare un albero genealogico italico, è ormai una realtà per le nostre Forze Armate.
Non così per il servizio civile nazionale, cioè per le nostre Forze disarmate. Da anni, infatti, da più parti si chiede che al servizio civile (ormai volontario come quello armato) possano accedere anche cittadini non italiani (oggi nemmeno i cittadini comunitari possono svolgerlo), anzi si chiede di fare in modo che il servizio civile costituisca uno strumento di integrazione per i giovani immigrati.
Nella passata legislatura il ministro della Solidarietà sociale si dichiarò d’accordo nell’aprire il servizio civile anche agli immigrati, ma poi la riforma non vide mai la luce. Enti e volontari speravano che, con il nuovo governo, sarebbe stata la volta buona (la Cnesc, che raggruppa i maggiori enti nazionali, ha lanciato mesi fa una Campagna per chiedere, tra l’altro, l’apertura ai volontari di altri Paesi). E invece no. Il sottosegretario Giovanardi, che ha la delega al servizio civile, si è più volte dichiarato contrario e il testo di legge che ha fatto approvare dal consiglio dei ministri il 22 gennaio scorso (che dovrebbe riformare l’attuale legge del 2001) prevede un servizio civile per soli italiani “doc”. La motivazione del “niet” è che sarebbe incostituzionale aprire il servizio ai non italiani, ma su questo punto c’è qualche dubbio (cfr. box in alto).
Se il governo è dunque contrario, non altrettanto lo è qualche parlamentare più lungimirante.
Il titolo dice già tutto: “Norme per la promozione della partecipazione dei giovani immigrati al servizio civile nazionale”. È la proposta di legge n.3047 depositata alla Camera dei deputati lo scorso 15 dicembre (giorno in cui storicamente si ricordava la nascita del servizio civile nel nostro Paese, prima che l’attuale governo l’abolisse) dall’on. Livia Turco, più volte ministra nei governi Prodi e attualmente presidente del forum “Politiche sociali e immigrazione” del PD.
La proposta nasce dall’esperienza ormai triennale del comune di Torino, che ha sperimentato con successo il servizio civile volontario per i giovani immigrati, rivelatosi una formidabile scuola di cittadinanza consentendo la formazione di una coscienza civica attraverso la conoscenza diretta dei contesti urbani sociali e culturali della città in cui si vive e fa accedere ai servizi culturali e sociali.
Insomma, coniugare appartenenza con responsabilità attraverso un’esperienza di servizio civico.
Fortunatamente, accanto all’esperienza torinese ve ne sono altre, in primis quella della regione Emilia-Romagna, che annualmente dedica il “proprio” servizio civile regionale a giovani non italiani.
Sin dal primo dei quattro articoli della proposta di legge Turco, il riferimento è alla Costituzione e agli articoli 1, 2 e 3, insomma alle basi del patto di cittadinanza, per dire che la promozione del servizio civile dei giovani immigrati serve a favorire la coesione sociale, la partecipazione democratica, la civile convivenza tra culture e religioni anche attraverso l’educazione interculturale.
Anche i 433 euro che lo Stato versa ogni mese a ciascun volontario in servizio dovrebbero, secondo la Turco, essere equiparati a un contratto di lavoro e costituire, per il giovane immigrato, titolo per il rinnovo del permesso di soggiorno, mentre l’esperienza del servizio civile dovrebbe costituire un credito per favorire l’acquisizione della cittadinanza italiana.
Ce la farà, anche grazie a questa proposta, il nostro Paese ad avere un servizio civile “moderno” affinché la tanto invocata integrazione degli immigrati non resti una parola vuota?