Un mondo libero dalle mine
‘‘Noi, gli alti rappresentanti degli Stati parte alla Convenzione per bandire le mine antipersona, riuniti qui a Cartagena, riaffermiamo la nostra volontà e il nostro impegno nel mettere fine alle sofferenze causate da tali strumenti di guerra e nel raggiungimento di un mondo libero dalle mine’’.
Così recita la dichiarazione ufficiale in apertura della Seconda Conferenza di revisione del Trattato per la messa al bando delle mine antipersona. L’evento, svoltosi dal 29 novembre al 4 dicembre 2009, nasce dalla volontà di migliorare il testo della Convenzione di Ottawa del 1997. Testo fondamentale che 122 governi di altrettanti Stati firmarono impegnandosi a non produrre, usare, conservare, commerciare e trasferire mine.
Al summit di Cartagena hanno partecipato 156 Stati, i quali si sono scambiati opinioni e hanno condiviso esperienze di successo, ma anche fallimenti, nell’attuazione delle misure e delle politiche previste dagli accordi internazionali. In questo contesto un ruolo fondamentale è giocato dalle Organizzazioni Non Governative e, non ultima, dalla società civile. Oltre alla Campagna Internazionale contro le mine (ICBL), hanno partecipato al summit le varie Campagne nazionali (come la nostra Campagna Italiana contro le mine), Handicap International, Croce Rossa Internazionale, Centro Umanitario di Sminamento di Ginevra, Human Rights Watch, Amnesty International e rappresentanti delle Nazioni Unite.
A riconoscimento dell’enorme lavoro svolto nella definizione della Convenzione di Ottawa, nel 1997, la Campagna internazionale e la sua coordinatrice Jody Williams hanno ricevuto il Premio Nobel per la Pace, per “avere avviato” – sono parole del Comitato Nobel norvegese – “un processo che è riuscito, nel corso di pochi anni, a trasformare in realtà concreta l’idea visionaria di riuscire a mettere al bando le mine antiuomo”.
Il Comitato ha sottolineato anche come la Campagna sia riuscita a “esprimere e interpretare, come mai era avvenuto in precedenza, un impegno diffuso della popolazione, inducendo a farsi carico del problema i governi di vari Paesi. Questo impegno si è trasformato in un convincente esempio di azione politica concreta in favore della pace e in un modello per simili iniziative che potranno essere messe in atto in futuro”.
Obiettivo principale del summit di Cartagena è far sì che tutti i Paesi promuovano il Trattato sia a livello nazionale che internazionale, sforzandosi di far collaborare coloro che non hanno ancora firmato e condannando qualunque attore faccia un qualunque uso di un qualsiasi tipo di mina.
Una definizione così ampia è necessaria per evitare che venga fatta, altrimenti, un’interpretazione limitata e strumentale dei soggetti colpevoli e delle situazioni incriminate.
Sono, in effetti, numerosi gli attori, statali e non statali, che fanno ancora uso di mine e circa 78 Paesi sono ‘inquinati’ da ordigni inesplosi. Una delle motivazioni alla base dell’utilizzo di tali ordigni è che, pur essendo armi di distruzione di massa, sono sicuramente le più economiche: una mina costa 2,50 euro. Si tratta, inoltre, di un’arma accattivante e subdola, progettata e costruita appositamente per essere mimetizzata col terreno o tra l’erba, e, spesso, per essere scambiata in giocattolo.
Questo dato è confermato dai fatti: l’85% delle vittime sono civili inermi e, di questi, il 20% sono bambini.
Jody Williams ha definito le mine ‘‘soldati perfetti’’, perché anche a guerra conclusa continuano a uccidere e mutilare rimanendo in vaste aree e continuando a seminare terrore e a paralizzare la vita di intere società. Le mine rappresentano uno dei maggiori ostacoli alla pace; la loro presenza inficia ogni prospettiva di sviluppo: impedisce l’accesso a vaste aree coltivabili, ostacola il rimpatrio dei profughi, rallenta le campagne di vaccinazione e la distribuzione degli aiuti umanitari.
Non si può certo dimenticare che l’Italia, fino al 1993, è stata uno dei maggiori produttori ed esportatori mondiali di mine terrestri; ma dalla nascita, nello stesso anno, della Campagna Italiana contro le mine, si è lavorato intensamente e con creatività per sensibilizzare l’opinione pubblica e le istituzioni sulla necessità di azioni incisive contro questo tipo di arma, a partire dalla sua messa al bando. In particolare la Campagna Italiana opera attraverso l’organizzazione di giornate nazionali, la raccolta di firme e fondi da destinare alla bonifica umanitaria e all’assistenza alle vittime, come anche attraverso il coinvolgimento di studenti e insegnanti.
L’educazione alla pace
Dal 2004 a oggi la sezione ‘Giovani contro la guerra’ ha portato in molte scuole italiane il Percorso di Educazione alla Pace ‘Non c’è pace con le mine’, con realizzazione di vari eventi e iniziative. L’Italia, dunque, può dirsi parte attiva e riconosciuta come tale, nell’ambito della lotta a favore di un mondo libero da questi strumenti di guerra; ruolo che è stato confermato dalla presenza al summit di quest’anno.
I Paesi che, invece, hanno presenziato alla Conferenza in Colombia ma che ancora non hanno firmato il Trattato sono: Cina, India, Nepal, Libano, Polonia e sopra a tutti, gli Stati Uniti d’America.
Il summit di quest’anno ha, in realtà, rappresentato una svolta storica perché, per la prima volta dall’entrata in vigore della Convenzione nel 1999, gli Usa hanno partecipato come osservatori alla Conferenza. Nel discorso ufficiale tenuto da Ian Kelly, portavoce americano dell’Ufficio degli Affari Pubblici, gli Stati Uniti affermano di aver accettato con piacere l’invito del presidente colombiano Uribe vista la comunanza di obiettivi umanitari con tutti gli altri Paesi del mondo. Inoltre, l’amministrazione si dichiara fortemente impegnata nel continuare a dare il proprio contributo per eliminare i rischi posti dalle mine.
Contributo che, più che altro, ha visto lo stanziamento di fondi (1,5 miliardi di dollari) per lo sminamento in zone di guerra. Il nuovo impegno che gli Stati Uniti hanno solennemente annunciato è quello di interrompere l’uso di mine antipersona e anticarro entro la fine del prossimo anno, cioè del dicembre 2010. Fermo restando questo obiettivo, l’Amministrazione americana dichiara che ci vorrà del tempo affinché gli Usa si adattino a tutte le direttive in tema di mine e le applichino a pieno “‘visto che, giustifica Ian Kelly, dobbiamo considerare tutti i fattori in gioco, comprese eventuali alternative per soddisfare le nostre esigenze di difesa nazionale, nonché i nostri impegni per la sicurezza di amici e alleati, per garantire loro e ai civili di tutto il mondo la protezione delle truppe americane”.
E gli Usa?
Nonostante l’America abbia tentato, con la sua presenza in Colombia, di modificare l’atteggiamento nei confronti del problema delle mine, di fatto, Obama non ha firmato la Convenzione, esattamente come non lo aveva fatto il suo predecessore.
Con tale decisione, gli Usa restano uno dei 14 Paesi, comprese Russia, Cina e India, a non aver aderito al trattato. Paradossalmente, a negare la sua firma alla convenzione i cui promotori vennero premiati con Nobel per la pace è Obama, che ha già ricevuto il premio, non senza stupori e scetticismi, il 10 dicembre.
La pace non è certo un facile obiettivo da raggiungere e la strada verso la sua realizzazione non è priva di ostacoli che appaiono insormontabili e di compromessi necessari. Per quanto molti siano stati i risultati finora conseguiti, casi come quelli di Stati Uniti, Russia e Cina, ricordano come sia ancora enorme il lavoro da fare per la realizzazione di un effettivo disarmo mondiale da mine antipersona. Così mentre Paesi quali Colombia, Cambogia, Afghanistan, Sri Lanka, Burundi e Sudan si sforzano di portare avanti la lotta contro qualsiasi ordigno inesploso che quotidianamente uccide donne e bambini, i grandi del Pianeta, quando partecipano, prendono tempo, farfugliano spiegazioni incoerenti in lunghi discorsi diplomatici e intanto continuano a pensare al loro tornaconto.
La Campagna Internazionale contro le mine, le Campagne nazionali, le organizzazioni e ogni singolo individuo nel suo piccolo, possono però fare la differenza. Crediamo fermamente nella possibilità di un disarmo globale che parta proprio dalle nostre azioni e che possa rappresentare il primo passo verso uno sviluppo pacifico delle relazioni internazionali e umane.