In uno stato di non diritto
La difesa della Costituzione torna a essere una priorità in Italia. Anzi – nonostante l’esito vittorioso del referendum del 2006 che ha segnato la fine della riforma costituzionale (di Berlusconi) dell’anno precedente – non ha mai cessato di esserlo fin da quando questo pericolosissimo personaggio che guida il nostro Governo, appena conquistata per la prima volta la maggioranza nel marzo 1994, si è proposto di sostituire in toto o almeno di alterare nei suoi fondamenti quella Carta Costituzionale che, coi suoi grandi meriti, ha accompagnato da sessanta anni in qua lo sviluppo della democrazia italiana.
Per questo, sia i Comitati Dossetti per la Costituzione, riuniti a Bologna il 23 gennaio, che i Comitati locali per la difesa della Costituzione, i cui esponenti aderiscono al Comitato nazionale presieduto da Scalfaro, in assemblea a Firenze il 27 febbraio scorso, hanno ripreso una vivace attività, dandosi un programma che risponde ad alcuni precisi criteri. Attenendoci, crediamo, allo spirito di queste riunioni, pensiamo di sintetizzare qui brevemente le linee che la difesa e lo sviluppo dell’ordinamento costituzionale repubblicano richiede.
Si tratta di quattro gruppi di questioni che rappresentano quelle massime aperte oggi.
1) La prima questione è posta dai propositi reiteratamente affermati – anche se finora non concretizzati in un preciso progetto – di profonde modifiche della parte seconda della Costituzione, da attuare con appositi disegni di legge di revisione della Costituzione stessa. Esse riguarderebbero, se dobbiamo prendere sul serio, come dobbiamo, il famoso discorso di Bonn del Presidente del Consiglio, sia il rafforzamento dei poteri del Governo, e soprattutto del suo Presidente, sia l’indebolimento degli organi di garanzia: dalla magistratura ordinaria, alla Corte Costituzionale, e naturalmente – mentre si gonfiano i poteri del Governo si sviliscono i poteri del Presidente della Repubblica e quelli del Parlamento – alle funzioni presidenziali e ai poteri delle Camere. Si tratta in sostanza di riproporre molta parte almeno di ciò che fu scongiurato col referendum del 2006, aumentato da modifiche gravi degli organi giudiziari e della giustizia costituzionale. Ma il Governo è già abbastanza forte nella realtà attuale e semmai si tratta di riequilibrarne i poteri rafforzando quelli del Parlamento e, in seno a esso, dell’opposizione, garantendo dei limiti ai decreti legge, alle deleghe legislative, all’uso del voto di fiducia e alla presentazione di emendamenti ai progetti di legge da votare in blocco: tutti strumenti abusati, che ormai hanno completamente esautorato le Camere. Della magistratura non si deve toccare nulla a livello di Costituzione, diminuendo l’autonomia del Consiglio superiore e del Pubblico Ministero. La giustizia costituzionale non va depotenziata, alterando la composizione della Corte, ma semmai ne andrebbero aumentati i poteri, ammettendo come in Paesi con Costituzioni similari il ricorso contro le leggi da parte dei gruppi di opposizione e da parte dei cittadini e dandole la possibilità di sindacare i provvedimenti, sempre autoprotettivi ed esercitati faziosamente, che esse sogliono prendere nella convalida dell’elezione dei loro membri (il caso Di Girolamo non è che il più grave) e nell’esercizio delle decisioni sull’immunità dei parlamentari dalle intercettazioni e dagli arresti. E non tranquillizza che nessuno, o quasi, voglia toccare direttamente la prima parte della Carta Costituzionale, perché, come si è tante volte spiegato, ogni diminuzione dell’equilibrio tra i poteri dello Stato e ogni indebolimento delle garanzie attenta in realtà in maniera grave ai diritti e doveri dei cittadini. Sono quelle indicate tra le poche modificazioni che si potrebbero introdurre se si volesse metter mano alle norme costituzionali.
2) Ma i problemi non restano confinati alle modifiche formali delle disposizioni delle Carta vigente. Una Costituzione può, infatti, essere alterata per via più indiretta ma anche maggiormente insidiosa, attentandovi con leggi ordinarie e addirittura con prassi da essa difformi. Ciò accade sul terreno dell’ordinamento della magistratura, quando con leggi ordinarie si vorrebbe adottare una vera separazione dei pubblici ministeri dall’ordine giudiziario, o sancire il cosiddetto “processo breve” – che equivale all’annullamento dell’esercizio di una funzione essenziale di ogni Stato di diritto, anzi di ogni Stato degno di questo nome – anziché provvedere a una migliore organizzazione e a un più adeguato finanziamento degli uffici giudiziari, tante volte proposta; o, altro esempio, sul terreno dell’ordinamento tributario, allorché si intendono fissare due sole e troppo basse aliquote dell’imposta sul reddito, rendendo così impossibile la progressività del sistema tributario (prevista dalla prima parte della Costituzione per ovvi motivi di giustizia sociale e di salute economica del Paese).
3) Un terzo tipo di problemi attiene a una prassi assai rara nei primi decenni della vita della Repubblica, ma in corso di sviluppo ormai da anni e in pauroso incremento negli ultimi: il ricorso, non previsto dalla Costituzione e inaccettabile al di fuori di rigorosi limiti, all’amministrazione straordinaria o di emergenza e il connesso dilagare di una fonte normativa anch’essa straordinaria, il potere di ordinanza. Si tratta di un sistema che esautora il Parlamento più totalmente del decreto legge, e che consente di derogare, per periodi spesso non brevi, alle normali norme di legge che disciplinano i settori più vari, riguardanti in maniera speciale le procedure degli appalti e delle forniture alle pubbliche amministrazioni, i controlli sull’attività di gestione del denaro pubblico, le leggi e la pianificazione urbanistica, la tutela dell’ambiente, del paesaggio e dei beni culturali. E quali diritti essenziali dei cittadini non saranno toccati se si adotterà tale sistema per la realizzazione nientemeno che di centrali nucleari?
È ora emersa la gravità di questa situazione con gli scandali legati ai contratti per il G8 e altre opere affidate alla Protezione civile, la quale rappresenta il nucleo più preoccupante di esercizio di questi poteri straordinari. E per fare un esempio ancora tratto dall’attualità bruciante, nel caso del terremoto aquilano sono coinvolti numerosi aspetti sui quali non bisogna lasciar sola la popolazione interessata. Essa sembra muoversi ora con più energia contro un sistema di trattazione dei suoi problemi, che è consistito nel rovesciamento del modello adottato con successo nei casi consimili dei terremoti del Friuli e dell’Umbria-Marche. Lì infatti la ricostruzione aveva ben funzionato perché guidata dalla Regione, dai Comuni e dalla stessa cittadinanza, la quale seppe decidere le priorità: riattivazione per prime delle fabbriche, ritenute più importanti delle stesse abitazioni nel caso friulano, restauro dei beni artistici fonte di sussistenza decisiva per quei territori nel caso dell’Italia centrale. In Abruzzo, invece, è stato imposto dalla coppia Berlusconi-Bertolaso un sistema accentrato e autoritario, che si è risolto nella costruzione di nuclei abitati nuovi e del tutto sradicati dal contesto tradizionale della zona e tali da alterarne per sempre l’assetto territoriale e civile, e ha portato a prolungate sofferenze di molte famiglie per effetto della mancata realizzazione d’una fase di alloggio in costruzioni provvisorie, intermedia tra quello che è inevitabile sia il primo soccorso (per mezzo delle tende e degli alberghi lontani) e la fase più lenta e attentamente progettata della ricostruzione definitiva, ancor oggi neppure iniziata.
Vale la pena di occuparsi intensamente del caso L’Aquila – che viene da noi documentato con articoli di esperti nel prossimo numero di Democrazia e Diritto – per la sua gravità ed esemplarità (quasi un ritorno, in zona più pregiata e nevralgica, dei guasti del Belice); ma esso non è che un caso, che conosciamo personalmente più di altri, dei guasti che un potere assoluto, segreto e illegittimo come quello dei sistemi di amministrazione straordinaria ha già generato. Contro di esso, come contro altre violazioni sistematiche della Costituzione, siamo dunque chiamati a lottare quotidianamente.