Le donne sull’altare
L’intervista a Margot Kaessmann (eletta Presidente del Sinodo della Chiesa evangelica tedesca lo scorso 29 ottobre), realizzata prima delle sue dimissioni, conserva tuttora il sapore dell’attualità, della testimonianza di un modo di porsi aperto che dà speranza. Anche se non più nel suo ruolo, rimane uno stile nuovo nel servire le Chiese con l’attenzione ai problemi inerenti alla giustizia sociale, alla pace, all’ecumenismo.
Quale valore assume la sua nomina a Presidente del Sinodo della Chiesa Evangelica, nel cammino ecumenico?
L’ecumenismo è naturalmente un tema di primaria importanza. Sono lieta e grata del fatto che in Germania abbiamo un rapporto molto buono e improntato a fiducia con la sorella Chiesa cattolica. Andiamo con grande gioia al Convegno ecumenico, che si terrà a Monaco di Baviera tra il 12 e il 16 maggio, e speriamo di poter dare anche in quel contesto un convincente segnale di unità ecumenica.
Come ritiene sia possibile superare le resistenze delle Chiese nei confronti delle donne, così da consentire loro di accedere a tutte le funzioni ecclesiali?
Nella Chiesa Evangelica in Germania il “sacerdozio di tutti i battezzati” è diventato nel frattempo normale, non da ultimo lo dimostra il fatto che sono stata votata da una grande maggioranza. Ma anche da noi è stato un percorso lungo. Pastori di sesso femminile esistono solo da quasi sessant’anni e solo negli ultimi tempi è diventato ovvio che le donne possano rivestire qualsiasi incarico nella nostra Chiesa. La prima vescova è stata Maria Jepsen (Amburgo 1992). Mi sembra auspicabile che gli incarichi ecclesiali siano normalmente accessibili a tutte le donne in ogni Chiesa. Ma questo cambiamento deve nascere all’interno di ciascuna Chiesa. La dottrina sacerdotale nella Chiesa cattolica-romana e nella Chiesa ortodossa è marcatamente diversa da quella della Chiesa evangelica. Questa differenza va rispettata, anche se naturalmente io mi auguro dei cambiamenti. D’altronde ci sono anche Chiese luterane che non consentono il sacerdozio femminile e in Lettonia è stato nuovamente eliminato. Abbiamo un lungo tragitto da percorrere.
Ritiene possibile la realizzazione dell’antico sogno di Dietrich Bonhoeffer di un Concilio davvero ecumenico per la pace?
Proprio in questi giorni ho avuto la prova che una rete ecumenica per la pace già esiste! A causa della mia posizione critica sul conflitto afgano sono stata al centro dell’interesse dei media nelle scorse settimane. Mi sono sentita sostenuta dall’appoggio fornitomi da molti vescovi, anche cattolici, La maggior parte delle Chiese rifiuta oggi la logica di guerra. Per questo non parliamo più di “guerra giusta”, ma il nostro obiettivo è sempre una “pace giusta”. Sono sempre dell’opinione che un “Concilio per la Pace” sia un obiettivo di primaria importanza, che ha caratterizzato anche lo stesso Consiglio Ecumenico delle Chiese. Nel 1948, in occasione della sua fondazione a Amsterdam, il Consiglio ha dichiarato che “il volere di Dio non è fare la guerra”. Nel 2013 ci sarà la prossima assemblea plenaria del Consiglio Ecumenico delle Chiese a Busan, nella Corea del Sud e io spero molto che anche da quell’assemblea mondiale del 2013 venga un segnale inequivocabile a favore della pace e della riconciliazione.
Come può concretizzarsi l’invito biblico all’accoglienza dello straniero?
Credo sia un dovere dello Stato offrire protezione. Le nostre Chiese mettono a disposizione l’aiuto delle loro istituzioni diaconali così come di singole comunità ecclesiali. Come Chiese abbiamo anche il compito di esortare lo Stato ad attivarsi in favore degli stranieri e di coloro che non hanno tutela.