La ceiba
Un albero immenso e maestoso. Solenne e forte. Fino a 50 metri di altezza e retto da un tronco che può essere anche di due o tre metri di circonferenza. È uno dei cinque simboli del Guatemala. I Maya gli attribuivano una ricca simbologia. Lo consideravano sacro al punto da sceglierlo come luogo ai cui piedi consumare i riti più importanti e assumere le decisioni vitali per la comunità. Guardandolo, penso alla nobiltà di questo Paese umiliato oggi sotto il peso di una miseria insopportabile come i bambini che incontro lungo le strade dei villaggi. Carichi di legna da ardere trasportata tenendo una corda sulla fronte. Come le donne che trasportano l’acqua in anfore di plastica sulla testa. Pesi che sono anche simboli di un'economia mondiale che ha scelto chi sovraccaricare e chi alleggerire. La ceiba, muta, rimane a guardare. Ai suoi piedi non c’è più l’odore d’incenso dei riti antichi, ma la miseria di un popolo che sembra rassegnato. La ceiba si difende con le sue spine dure e acuminate. La gente che abita il Guatemala sembra aver perso anche le unghie. Poi mi distraggo un attimo e scorgo un gruppo di uomini e donne di un villaggio vicino che nel frattempo si sono seduti in cerchio e hanno cominciato a parlare. Stanno descrivendo un altro futuro. La ceiba resta muta ma adesso sembra commossa.