Siamo razzisti e xenofobi
“La cattiveria si è fatta legge”. In Italia, siamo alle porte di un vero apartheid. Una cultura xenofoba invade, in modo strisciante, ogni nostro ambito. Lo scorso 12 aprile – lo ricordo, per chi fosse all’oscuro dell’accaduto – abbiamo provato a “liberare” nove fratelli immigrati, che questo strano sistema legislativo e culturale ci costringe a chiamare “clandestini”, dalle “grinfie” agguerrite della polizia di Napoli che voleva trasportarli al CIE (Centro di Identificazione ed Espulsione) di Brindisi. Un momento duro, che ha visto uno scontro “faccia a faccia” tra noi attivisti, convinti che almeno tre di loro erano minorenni, e la “Celere” di Napoli, armata di tutto punto.
“Se ci sono dei minorenni – ci risponde il dirigente della Questura – me ne dispiace”. Usciamo con tanta rabbia in corpo. Ci disponiamo davanti al portone dell’Ufficio, da dove devono uscire i nove per essere trasportati a Brindisi. Dopo mezz’ora di tentato confronto, l’ordine di caricarci. Cerchiamo di resistere, ma veniamo travolti. “Dovrete passare sul mio corpo – urlo – Voi non potete portare dei minorenni in un lager”. Sobillatore, sono stato chiamato. Mentre dentro avvertivo solo un gran dolore per il grido inascoltato dei nostri fratelli, anzi figli, africani. Poi, la buona notizia: il 16 aprile, sei dei nove rifugiati della nave da carico “Vera D”, sono stati rilasciati dal Questore di Brindisi, su istanza del giudice, perché presunti minori. Non potevamo che accogliere con un urlo di gioia questa notizia. Almeno per questi sei ragazzi, non abbiamo lavorato invano. E questo non può che rallegrarci.
Credo che sulla questione degli immigrati – se di questione si può parlare e non di volti e umanità – si giochi una grande sfida per questa nostra Italia. Perché la razza umana non ha colore, non ha distinzioni, non ha confini. Non vede differenziazioni sostanziali tra cittadini, immigrati e clandestini. Ci sono solo persone, alcune delle quali sono più disperate delle altre. Il dibattito politico di questi giorni vede protagonisti proprio i due “genitori” della legge sull’immigrazione, Bossi-Fini, di gran lunga peggiorata dal “pacchetto sicurezza” Maroni. Oggi in disputa tra loro, ma la legge resta. E porta il loro nome. Ed è proprio questa legge che considero immorale e non-costituzionale, perché non riconosce gli immigrati come soggetti di diritto ma, esclusivamente, come manodopera a basso prezzo da poter rispedire, a tempo debito, al mittente. Ritengo, infatti, che la nostra legislazione sia il risultato di un mondo politico – sia di destra che di sinistra – che ha messo alla gogna lavavetri, ambulanti, rom e mendicanti (basti pensare a Cofferati di Bologna, Domenici di Firenze, Alemanno di Roma!). E incarna una cultura xenofoba e razzista, che ci sta portando nel baratro dell’esclusione, del rifiuto dell’altro, del diverso, specie del musulmano.
A tutto questo bisogna aggiungere le due ultime novità: l’idea lanciata da Maroni di una pagella a punti perché un immigrato possa ottenere la cittadinanza italiana e, secondo, la decisione dell’11/03/2010 della Corte di Cassazione che gli immigrati irregolari vengano espulsi, anche se hanno figli minorenni che frequentano al scuola. Incredibile, ma vero: la legalità delle frontiere prevale sulle esigenze di tutela del diritto allo studio dei minori.
Tutto questo ci interpella come cristiani e interpella la Chiesa, anche a livello magisteriale. In questo periodo la Chiesa ci ha spesso ricordato la dignità degli immigrati, ma non sempre lo ha fatto con lo stesso zelo e cura con cui si sono difesi i cosiddetti valori non negoziabili. Abbiamo bisogno di sentire con forza sia la voce delle comunità cristiane sia quella dei pastori, su un argomento così fondamentale per la nostra fede. Il nostro giudizio finale verterà su questo: “Avevo fame, avevo sete, ero straniero…”