Per un Paese solidale
Due sono gli obiettivi del documento della C.E.I. “Per un Paese solidale. Chiesa italiana e Mezzogiorno”: ribadire la consapevolezza del dovere e della volontà della Chiesa di essere presente e solidale in ogni parte d’Italia; promuovere un autentico sviluppo di tutto il Paese (n. 1).
Non è, quindi, un documento rivolto esclusivamente alle Chiese del Sud, alle quali si offrirebbe uno “spaccato” della situazione attuale con l’indicazione di alcuni obiettivi perché il Mezzogiorno possa tirarsi fuori da una condizione disastrata.
L’episcopato italiano guarda al Paese nella sua interezza e, nel fermarsi a parlare del Mezzogiorno, vuole “dire una parola incisiva sull’Italia di oggi e sul cammino delle nostre Chiese” (n. 1), per sollecitare la promozione e la testimonianza in tutte le comunità cristiane di “quell’amore intelligente e solidale che sta alla base di uno sviluppo vero e giusto, in quanto tale condiviso da tutti, per tutti e alla portata di tutti” (n. 2).
Lo sguardo sul Mezzogiorno “alle prese con vecchie e nuove emergenze” è attento e lucido, l’analisi è ampia e puntuale, le valutazioni sono rigorose e chiare. Si fa riferimento, nel quadro degli elementi negativi, a “meccanismi perversi o semplicemente malsani nell’amministrazione della cosa pubblica” (n. 5), alla ricezione acritica della modernizzazione (n. 6), alla “scarsa capacità progettuale” e alla “ancor più bassa capacità di mandare a effetto i progetti e mantenere in vita le nuove realizzazioni”, alla “radicale fragilità del suo tessuto sociale, culturale ed economico”, alla “frequente mancanza di sicurezza”, alla non valorizzazione delle vaste risorse (n. 7), alle “catene che non gli permettono di sprigionare le proprie energie”, alla “criminalità organizzata, rappresentata soprattutto dalle mafie che avvelenano la vita sociale, pervertono la mente e il cuore di tanti giovani, soffocano l’economia, deformano il volto autentico del Sud”, al fatto che “si è consapevoli ma non protagonisti”, all’economia illegale, alle carenze di senso civico, al fatto che “le Chiese debbono ancora recepire sino in fondo la lezione profetica di Giovanni Paolo II e l’esempio dei testimoni morti per la giustizia” (n. 9), alla povertà, alla disoccupazione e al flusso migratorio dei giovani verso il Centro-Nord e l’estero con la conseguenza di un “generale depauperamento di professionalità e competenze, soprattutto nei campi della sanità, della scuola, dell’impresa e dell’impegno politico” (n. 10)...
Più che sull’analisi della situazione meridionale, mi soffermo, rapidamente, su tre “punti fermi” del documento, tralasciando altri elementi, anche se fondamentali.
Un Mezzogiorno umiliato impoverisce e rende più piccola tutta l’Italia.
Nel documento, mentre si ribadisce il principio che “il Paese non crescerà, se non insieme” (n. 1), si afferma che “un Mezzogiorno umiliato impoverisce e rende più piccola tutta l’Italia” (n. 8). Nessuno, quindi, può illudersi di crescere, di svilupparsi, di arricchirsi, abbandonando o emarginando il Mezzogiorno!
Sono molteplici le “potenzialità delle regioni meridionali, che hanno contribuito allo sviluppo del Nord e che, soprattutto grazie ai giovani, rappresentano uno dei bacini più promettenti per la crescita dell’intero Paese” (n. 1).
È un principio assodato che la Chiesa non ha competenza per intervenire sull’assetto istituzionale dello Stato. “La Chiesa... non ha un campo di competenza specifica per quanto riguarda la struttura della comunità politica... non ha titolo per esprimere preferenze per l’una o l’altra soluzione istituzionale o costituzionale e non ha neppure il compito di entrare nel merito dei programmi politici, se non per le loro implicazioni religiose e morali” (Compendio della dottrina sociale della Chiesa, n. 424). Nessuna competenza, quindi, la Chiesa può vantare in merito all’assetto del Paese in senso federale. Ma la Chiesa non potrà rimanere indifferente se non venissero rispettati i diritti fondamentali delle persone, o si creassero “diritti di cittadinanza differenziati a seconda dell’appartenenza regionale” (n. 8). Nell’Italia delle regioni occorre promuovere l’unità, la solidarietà, la sussidiarietà, la pace sociale.
Gli uomini e le donne del Sud non possono attendere da altri ciò che dipende da loro.
Le espressioni del documento sono nette. Noi del Sud non dobbiamo attenderci da altri ciò che dipende da noi e abbiamo il dovere di contrastare “ogni forma di rassegnazione e fatalismo. Una mentalità inoperosa e rinunciataria può rivelarsi un ostacolo insormontabile allo sviluppo, più dannoso della mancanza di risorse economiche e di strutture adeguate” (n. 19).
Non è questione di essere ottimisti o pessimisti. L’ottimista, diceva p. Davide Maria Turoldo, è un fatuo, il pessimista un noioso (Inquietudine dell’universo, p. 573). Occorre essere uomini e donne di speranza che consegnano al mondo “quel tesoro di speranza e di carità che è già all’opera per la potenza dello Spirito nelle nostre Chiese”; occorre avere “una rinnovata volontà di dedizione e un più convinto impegno” (n. 19).
Alla domanda: “Perché lei è un uomo di speranza, malgrado gli smarrimenti di oggi?”, il card. Léon Joseph Suenens, molti anni fa, rispose: “Perché credo che Dio è nuovo ogni mattina, che crea il mondo in questo preciso istante, e non in un passato nebuloso, dimenticato. […] Sono un uomo di speranza non per ragioni umane o per ottimismo naturale. Ma semplicemente perché credo che lo Spirito Santo è all’opera nella Chiesa e nel mondo, che questi lo sappia o no. Sono un uomo di speranza perché credo che lo Spirito Santo è per sempre lo Spirito Creatore, che dà ogni mattina, a chi lo accoglie, una libertà nuova e una provvista di gioia e di fiducia. Sono un uomo di speranza perché so che la storia della Chiesa è una lunga storia, tutta piena delle meraviglie dello Spirito Santo. […] Sperare è un dovere, non un lusso. Sperare non è sognare, al contrario: è il mezzo per trasformare un sogno in realtà. Felici coloro che osano sognare e che sono disposti a pagare il prezzo più alto perché il sogno prenda corpo nella vita degli uomini» (L.J. Suenens, Lo Spirito Santo nostra speranza, pag. 10-11).
Il cristiano è essenzialmente un uomo di speranza e “non si rassegna mai alle dinamiche negative della storia: nutrendo la virtù della speranza, da sempre coltiva la consapevolezza che il cambiamento è possibile e che, perciò, anche la storia può e deve convertirsi e progredire” (n. 14).
“È necessario impegnarsi in una nuova proposta educativa” (n. 17).
È diventato un luogo comune parlare di “sfida”, di “urgenza” o “emergenza” educativa. Il problema, in effetti, è vero ed è grave!
Il documento adopera toni forti e non sfuma i giudizi. Dopo aver citato una riflessione dei vescovi di Sicilia del 15 maggio 1996 in occasione del 50º anniversario dello Statuto della regione siciliana nella quale si parla del “deficit di senso della socialità” e dell’indebolimento del “senso di legalità”, rileva un dato che “omologa in negativo tutte le regioni d’Italia” nell’ambito dell’educazione scolastica delle nuove generazioni: la “tendenza al ribasso”, il “progressivo degrado” (n. 17).
E anche in ambito ecclesiale, la catechesi “va ripensata e rinnovata” perché non può limitarsi “ a essere scuola di dottrina, ma deve diventare occasione d’incontro con la persona di Cristo e laboratorio in cui si fa esperienza del mistero ecclesiale, dove Dio trasforma le nostre relazioni e ci forma alla testimonianza evangelica di fronte e in mezzo al mondo” (n. 17).
Non servono a rilanciare lo sviluppo le risorse economiche se non sono gestite da persone educate e formate al senso del bene comune: “I veri attori dello sviluppo non sono i mezzi economici, ma le persone” (n. 17). Luminosa l’espressione di papa Benedetto: “Lo sviluppo è impossibile senza uomini retti, senza operatori economici e uomini politici che vivano fortemente nelle loro coscienze l’appello del bene comune” (Caritas in veritate, 78. Citata nel documento al n. 17).
Ecco perché la questione educativa è una “priorità ineludibile”, per sacerdoti e laici.