Profeti e servi
Il Signore ti conceda il privilegio di essere, nel fianco di chi è soddisfatto, spina dell’inappagamento. Questo augurio di don Tonino esprime in sintesi anche la sua vocazione sacerdotale. Ogni credente deve essere spina dell’inappagamento. Uomo chiamato a vivere e a comunicare le beatitudini del Vangelo, ma anche continuamente interpellato dalle inquietudini del mondo. In continua tensione tra la dolcezza del già e l’incompiutezza del non ancora. Il sacerdote è chiamato a essere ministro di “scrupoli” e dispensatore di benedette inquietudini. Per questo egli avvertiva profondamente l’obbligo morale di annunciare la Parola anche nella sua dimensione di denuncia delle ingiustizie e delle violenze generate dai poteri perversi di questo mondo.
Ma se taciamo noi, eredi della profezia della Pace del Cristo, chi si assumerà il compito di dire alla terra che, scivolando sui binari che ha imboccato, corre inesorabilmente verso l’olocausto? Consacrato con l’unzione dello Spirito per essere dito puntato verso il totalmente Altro e verso il totalmente Oltre, il servo di Dio deve comunicare nostalgia e desiderio di trascendenza, di transumanza, e insieme tracciare un itinerario esodale verso la terra bella, l’eutopìa della pace e della convivialità. Sentinella del mattino, scruta l’orizzonte lontano e grida che ormai resta poco della notte.
Amico speciale del divino Maestro, condivide con gli altri discepoli la sua stessa mensa e da Lui impara a deporre le vesti, quelle dell’arroganza e del dominio, le vesti del tornaconto, del calcolo, dell’interesse personale, per assumere le modalità della comunione (…) per ricoprirsi dei veli della debolezza e della povertà. (…) In una parola, deporre le vesti per noi sacerdoti deve significare divenire clero indigeno degli ultimi, dei poveri, dei diseredati, dei sofferenti.
Così ha detto e così ha fatto. Don Tonino ha predicato una Chiesa che, dopo aver deposto le vesti dell’umano potere, si cinge un asciugatoio e diventa “Chiesa del grembiule” che si fa solidale e sinodale con gli ultimi scegliendo di vivere nella povertà. Attuando lo spirito del Vaticano II, egli intraprende le strade della condiscendenza, della sunkatabasi, della condivisione, del coinvolgimento in presa diretta nella vita dei poveri.
Insieme, alla sequela di Cristo, sul passo degli ultimi, questa è la tabella di marcia che ha orientato e ispirato le sue scelte di comunione teologale e di ministero pastorale. Ha saputo così fare sintesi tra ortodossia e ortoprassi, tra carità dossologica e carità politica. Pastore contemplattivo che non dice: “La messa è finita andate in pace”, ma “la pace è finita andate a vivere la messa”.
Dal roveto ardente della Parola, egli attinge a pieno cuore lo stupore dei magnalia Dei e la passione per risvegliare le coscienze dalla rassegnazione e dall’indifferenza nei confronti della miseria, del dolore, della guerra…
Don Tonino, padre nella Chiesa e fratello di tutti nella terra di Puglia, profeta del Vangelo sine glossa, ci ripete ancora, con la provocazione della sua straordinaria normalità sacerdotale, il sommo e unico comandamento: Ama la gente, i poveri soprattutto. E Gesù Cristo. Il resto non conta niente.