Ci vuole più responsabilità
C’era grande attesa quel 6 marzo all’Auditorium Unicef a Roma. Grande l’attesa per chi, appunto, arrivava per curiosità, speranza o illusione di trovare una proposta positiva, di quelle che ti coinvolgono fin dal primo slogan. Grande attesa, però, soprattutto in quanti (noi) avevamo gettato quel sasso nello stagno dell’indifferenza e della stanchezza.
I cerchi si allargheranno come nell’acqua o resteremo quattro gatti disillusi?
Da un primo approccio timido son venuti fuori due giorni di confronto serrato e appassionato tra poco meno di un centinaio di partecipanti di provenienze e sensibilità diversissime. Tante le lamentele per un Paese che nessuno riconosce più. Ma tanta anche la volontà di cambiare, a partire dalle responsabilità del proprio essere cittadine e cittadini. E proprio la parola responsabilità coniugata all’aggettivo “civile” da’ il senso di un’assemblea non usuale, convocatasi su proposta di un gruppo di persone, tutte impegnate nell’associazionismo, nel lavoro sui territori, nelle iniziative del volontariato, ma che si sono ritrovate da individui.
Voglia di contare
Sì, perché per definire quale “contributo può dare la società civile responsabile alla costruzione di una buona politica”, per “far emergere e valorizzare la buona politica quotidiana fatta da tante persone responsabili e impegnate nella società”, bisogna ripartire dalle persone, dalla loro stanchezza per una politica chiusa e indifferente, dalla loro consapevolezza di essere minoranza rispetto a una cultura diffusa dell’interesse personale, della prevaricazione e del fastidio per le regole poste a garanzia di tutti. Ma anche dalla voglia di impegnarsi, di fare qualcosa, e insieme cominciare a ragionare su come si sia arrivati al degrado in cui versa l’Italia.
Scrive Carmela Contini: “Sarà un caso che ieri siamo stati a riflettere su responsabilità sociale e politica e su crisi della politica e dei valori? … È la crisi di coloro che non possono proprio accettare di lasciarsi travolgere dalla volgarità, dallo squallore, dall’egoismo e dal razzismo xenofobico che dilagano oggi”. Ma poi aggiunge: “È la crisi di quelli che sanno che potranno venirne fuori solo insieme, con determinazione, coraggio e umiltà”.
Ragionare, confrontarsi, prima di metter mano a iniziative, organizzare eventi che potrebbero convogliare tanta rabbia diffusa, ma forse non aiuterebbero ad affrontare la questione centrale che tutti i partecipanti all’incontro romano si sono (o meglio ci siamo) posti: fare i conti con le nostre responsabilità. Vogliamo provare a farci carico di promuovere una nuova agenda della politica, nella quale il rispetto e la tutela dei diritti di ogni persona siano al primo posto.
Non è un soggetto politico quello che si vuole costruire. Il ruolo dei partiti riconosciuto dalla Costituzione va semmai riaffermato. Ma non si può condividere i meccanismi di autoreferenzialità della politica controllata dai partiti, che mortifica la democrazia ed è lontano dalla vita concreta delle persone, dalle loro difficoltà, dai loro bisogni e dai loro diritti fondamentali. La crisi in cui versano, che è crisi di rappresentanza, ma anche crisi etica, di identità, di progetto, è affare di tutti. C’è qualcosa di utile che – oggi – possiamo e dobbiamo fare anche noi, società civile responsabile. Bisogna impegnarsi a costruire una politica nuova.
Buone idee
Per trasformare il sogno in realtà c’è, quindi, bisogno di più responsabilità civile. E per animarla, vogliamo promuovere un ampio confronto, non sui contenuti dell’agire, ma proprio sul contributo che la società civile responsabile può dare alla costruzione di una buona politica.
Tutto questo significa dar vita a un “laboratorio per la buona politica”: un laboratorio che sia ideale luogo di confronto dal quale elaborare e promuovere una nuova agenda della politica. Far diventare priorità della politica proprio quei diritti che, con le responsabilità, sono sanciti nella Dichiarazione Universale dei Diritti Umani e che la nostra Costituzione ha posto alla base del patto di cittadinanza della Repubblica. E, per fare questo, dobbiamo raccogliere “buone idee” per un’Italia migliore, proposte concrete per contrastare la deriva dell’Italia e per costruire un Paese migliore. E questo partendo dall’esistente.
È Davide Imola ora a lanciare una proposta: promuovere “un nuovo codice dei comportamenti della politica e dei cittadini moltiplicando le energie e le idee, attorno a un’idea di politica diversa che chiama in causa le responsabilità di ognuno da quelle individuali a quelle collettive”.
Tutto questo, nel concreto, significa allargare lo spazio di cittadinanza politica di chi fa una buona politica senza fare politica, di chi, a partire dai giovani, s’impegna nella costruzione di una società giusta, aperta, solidale, libera e democratica nella quale ogni essere umano fa parte di una comunità fraterna, che include, che accoglie, che soccorre e non che esclude, che respinge e abbandona.
Responsabilità civile
Questo è Responsabilità Civile. Un nome che evoca a molti più un immaginario da assicuratori. Eppure il senso profondo delle due parole è stato, nel complesso ben accolto. Non sarà un logo da pubblicitari, ma aiuta a recuperare il senso delle cose. Lo scrive bene Flavia Gallo: “Due parole che evocano lo scenario irrinunciabile del nostro comune agire in un mondo dove ogni comunità vive nell’orizzonte di tutti”.
Siamo consci di non essere i soli a interrogarsi in queste ore. Sono tanti e diversissimi i gruppi che hanno già lanciato analoghi momenti di confronto. Non crediamo certo di avere qualcosa di meglio e di più di altri. Ma proprio perché siamo consapevoli del bisogno di ripartire dalle persone, crediamo che l’unico modo per muoversi sia la forma dell’incontro, e certo il confronto con altre realtà è già nei nostri pensieri e nella nostra azione. Il primo passo che ci siamo ripromessi è proprio allargare la discussione a partire dai territori, geografici e figurati, cioè paesi e città ma anche luoghi di lavoro, scuole, associazioni, circoli. Andare a scovare quegli “esempi di buona politica”concreta di cui parla l’appello di Responsabilità civile.
Ancora dal blog, questa volta a firmare è Gigi Bartolomei: “Vale la pena di dedicare del tempo a costruire con pazienza un’alternativa coinvolgendo quanti più soggetti possibile e cominciando dalle relazioni che noi tutti abbiamo localmente”; e Antonella Giacobbe: “…Si cominci a ragionare come incidere concretamente sul territorio e fra la gente”.
E poi, si diceva, pensare a costruire un momento di riflessione e anche, perché no, di studio, di analisi. Un momento, comunque, che sia anche di formazione, magari di una nuova classe di cittadini prima che degli amministratori e dei politici di domani. E questo progetto risponde a una richiesta partita, nell’incontro di inizio marzo, proprio dai più giovani. A Roma, Valentina, studentessa di Riccione, chiedeva: spiegateci cosa è accaduto negli ultimi trent’anni, perché alla sua generazione nessuno lo ha spiegato. E le fa eco di nuovo Flavia, prima a voce e ora, più esplicita, sul blog: “È lecito chiedere alla generazione che ha assistito a questo lento declino in quale punto della nostra storia, italiana, europea, mondiale, la loro responsabilità civile ha abdicato?”.
Scrive Fernando Dall’Agli, formatore con molti anni di esperienza alle spalle: “Al di là dei contenuti specifici dei miei corsi percepisco la richiesta – implicita o esplicita – di una ricerca di senso, di una ‘bussola’ per navigare, di un’indicazione per trovare in sé stessi ciò che la società non offre al di fuori”.
Un cammino lungo, alcuni dicono: troppa presunzione per obiettivi così alti e così a lungo termine. Lasciamo l’ultima parola a Franco Marcomini, un intervento lucido e non giustificazionista, ma che lo spiraglio in fondo alla caverna lo intravede già: “Concretamente, riflettiamo che i grandi cambiamenti sono sempre arrivati da piccole esperienze significative che si sono trasformate in cultura”.
L’appuntamento, allora, è per fine maggio a Firenze. Terra futura si coniuga bene con Responsabilità civile.