Servo di Dio
Venerdì 30 aprile, nel duomo di Molfetta, si è aperto il processo di beatificazione di mons. Tonino Bello. Non ho voluto mancare, anche se il rito aveva un carattere di discrezione. Il rilievo in realtà è stato dato dalla presenza del Prefetto della Congregazione preposta alle Canonizzazioni, l’arcivescovo salesiano D’Amato, il quale ha spiegato di essere originario proprio di Molfetta, ricordando anche episodi personali di quando ritornava a visitare la propria famiglia. Oltre al vescovo locale e a mons. Superbo di Potenza, postulatore del processo, v’era mons. Ricchiuti di Acerenza, già rettore del seminario regionale di Molfetta. Ma v’era molto popolo di Dio, che esorbitava dalla cattedrale, molti sacerdoti e autorità, a cominciare dal Governatore di Puglia on. Vendola, originario di Terlizzi, che non manca di addebitare anche pubblicamente il suo ritorno alla fede proprio a merito di quel suo vescovo.
RICONOSCIMENTI ATTESI
Il rito che ha seguito la celebrazione dell’Eucaristia è stato inevitabilmente lungo, data la lettura dei singoli Decreti di nomina dei vari operatori del processo, con l’adesione individuale e le singole firme, ma ha dato modo di riflettere sul suo significato.
Ricordo le iniziative prese per la beatificazione di papa Giovanni, a cominciare dal tentativo di una canonizzazione per acclamazione da parte del Concilio; ma ricordo anche le esitazioni di Roger Schutz, il priore di Taizé, timoroso che una canonizzazione ufficiale riducesse all’ambito cattolico una persona che tutto il mondo venerava. Per mons. Tonino Bello credo, invece, che un riconoscimento ufficiale della Chiesa cattolica ridia al nostro don Tonino il prestigio che, durante la sua vita, non pochi gli avevano negato, da parte di quei politici che dalla sua franchezza (gli Atti degli Apostoli la indicano, in greco, “parresìa”, come una caratteristica dei primi evangelizzatori e della Chiesa primitiva) vedevano denunciati i loro compromessi e le loro ipocrisie, e da parte di alcuni settori della Chiesa – anche autorevoli – che leggevano il suo messaggio come una denuncia alle loro rinunce o alle loro lentezze. Don Tonino soffriva di queste emarginazioni, di quelle politiche perché normalmente gli venivano trasmesse dagli organi della Chiesa a cui si faceva ricorso, ma più ancora di quelle ecclesiali, che gli sembravano non tenere in sufficiente conto le esigenze del messaggio evangelico e gli stimoli del Concilio.
L’autorizzazione che il Vaticano ha dato all’inizio del Processo (e che rende ufficialmente don Tonino”servo di Dio”) e, confidiamo, un suo positivo sviluppo seguito dall’autenticazione vaticana, non solo pongono nella giusta luce la persona di questo vescovo, innamorato di Cristo e donato alla sua gente e ai poveri, ma porteranno a cogliere tutti i nodi e le sfumature di un messaggio che, attraverso il suo tipico linguaggio, caldo e poetico, presenta un Dio innamorato dell’uomo, un Cristo modello e compagno di ogni uomo, e uno Spirito Santo che impregnando la nostra vita, la rende capace di profezia e di entusiasmo.
L’IMPEGNO PER LA PACE
Questa messa in evidenza della personalità di don Tonino non può non contribuire a richiamare il suo impegno per la pace. Esso si radicava nel suo amore a Gesù Cristo, venuto a portare nel mondo la “gloria a Dio” ma anche la “pace in terra” e proprio “per tutti gli uomini che Egli ama”, ma anche nella sua solidarietà con la gente, soprattutto con i piccoli e i poveri, che sono le maggiori vittime della guerra. Dobbiamo riconoscere come il suo inserimento in Pax Christi, se ha arricchito il movimento del suo entusiasmo e delle sue aperture, ad esempio nei confronti della nonviolenza attiva, abbia fatto maturare in lui i germi potenziali per gli approfondimenti e le esperienze già realizzate dal Movimento. Se ne sentiva grato, e più volte aveva confessato che senza Pax Christi non avrebbe raggiunto certe prospettive (ad esempio sulla responsabilità dei Paesi sviluppati nel provocare le guerre o... sulla possibilità di cappellani militari senza le stellette); tanto che per Pax Christi si espose in occasione della ristrutturazione della Casa della Pace di Firenze e a Pax Christi aveva lasciato i diritti editoriali dei suoi scritti. Ora questi scritti stanno moltiplicando le edizioni, come libri, come articoli, come antologie. Un riconoscimento ufficiale della Chiesa non può non renderli ancora più autorevoli, estendendo e approfondendo l’apostolato che ha qualificato la sua esistenza.
Quanti abbiamo conosciuto personalmente don Tonino, quanti abbiamo avuto frequenti contatti con lui, quanti abbiamo avuto la grazia di accompagnarlo nella sua lunga sofferta agonia (offerta al Signore “per la gente della sua diocesi e per il popolo della pace”), lo sentiamo ancora vivo, con la sua fede e con la sua speranza; Pax Christi ne sperimenta le sollecitazioni all’impegno e alla generosità (i presidenti si sono sempre dichiarati lieti e orgogliosi di esserne i successori). Ma anche quelli che non l’hanno conosciuto se non attraverso i suoi scritti lo sentono un amico gioioso e stimolante, che diffonde speranza e incoraggia alla dedizione.
Gesù disse che il chicco di frumento se cade in terra e muore porta molto frutto. La sofferenza morale che ha segnato la sua vita, pur lasciandola serena e gioiosa, e quella fisica che l’ha portato alla morte, così dolorosa, alimentino la nostra preghiera e la nostra fiducia perché il riconoscimento della Chiesa ufficiale non solo cancelli le emarginazioni e le diffidenze di un tempo, ma lo offra a tutti, in particolare ai giovani, come modello di vita cristiana e profeta di pace.