Lo sterminio delle grandi opere
Lanciata a Roma in gennaio – promossa dalle associazioni A Sud, CDCA, SAL e CIPSI – con testimoni provenienti dal Brasile, accompagnati da Manuela Schillaci e Martina Feliciotti, in servizio civile in Brasile presso il Consiglio Indigenista Missionario [CIMI] e Colombi (SAL), è partita una Campagna di denuncia di violazioni dei diritti dei popoli indigeni in atto nel nordest del Brasile, a causa d’un progetto governativo di trasposizione di parte delle acque del Rio São Francisco: essa ha toccato varie città europee.
Martina Feliciotti, volontaria in servizio civile a Recife per il progetto Cipsi/Sal, ci spiega che “con il nome Oparà (fiume-mare) i popoli indigeni si rivolgono al Rio São Francisco”. Ci aiuta, innanzitutto, a leggere il territorio in difesa del quale gli indigeni nel nordest brasiliano lottano. Il Rio São Francisco è lungo 3160 km., tocca 5 Stati federati e costituisce il terzo bacino idrografico brasiliano. Scarsa è, però, la regolamentazione dell’accesso alle sue acque. Sul Rio già sorgono 7 dighe, con conseguente forte riduzione della portata d’acqua: alla foce, l’acqua marina penetra per ben 50 km. nel letto del fiume. Scarichi industriali causano inquinamento. Occorrono riforestazione, drenaggio e ricostruzione degli argini; invece, incombe la faraonica minaccia della deviazione (opera avviata a giugno 2007). I cantieri sorgono in aree, occupate militarmente, di territori indigeni. Saranno costruiti 2 canali artificiali (Eixo Norte ed Eixo Leste), per complessivi 660 km., e in seguito altre 2 dighe. Un canale, in parte già costruito, è largo 25 metri e profondo 9. L’investimento previsto ammonta a 6,6 miliardi di reais. E il progetto avrà effetti devastanti sui territori di ben 33 popoli indigeni (circa 70000 persone)”.
Uilton Dos Santos, di APOINME, dichiara che “Tuxá è il mio popolo: vive nello stato di Bahia: costretto a spostarsi lì tempo fa a causa della costruzione d’un impianto idroelettrico”. La trasposizione mette a repentaglio l’esistenza dell’Oparà; i popoli indigeni hanno subito gli effetti di esclusione sociale, assenza di politiche pubbliche e, infine, del tentativo di trasposizione: se ne discute da quando era imperatore Pedro II. La finalità, falsamente asserita, è portare acqua a 12 milioni di persone. Piccoli agricoltori, pescatori e indigeni, che vivono lungo il fiume, sono da tempo mobilitati.
“Lula Da Silva – afferma Uilton Dos Santos – in passato, mobilitava le comunità rivierasche, ma, da quando è presidente, considera il progetto di prioritaria importanza economica; ne consegue il mancato rispetto dei diritti umani delle popolazioni rivierasche: non sono state previamente consultate! Da decenni il fiume subisce aggressioni; forte è soprattutto l’impatto sull’agricoltura di sussistenza, basata sul ciclo di innalzamenti e abbassamenti del livello dell’acqua, che consente il deposito di limo”.
Gli artt. 231 e 232 della Costituzione garantiscono la tutela dei diritti dei popoli indigeni; anche la Convenzione 169 dell’ILO garantisce diritti indigeni; in particolare quello alla previa consultazione e alla difesa dei loro territori. Tuttavia, la sete di crescita economica induce a non prendere in considerazione i rischi che l’opera comporta per il Rio; pertanto, sono violate le prerogative dei popoli che vi gravitano attorno. Le comunità da anni lottano per conquistare la sovranità alimentare: l’accesso all’acqua è pertanto indispensabile! Vi sono alternative, vantaggiose per tutti: piccoli bacini di raccolta, pozzi artesiani.
L’obiettivo principale è, però, la creazione di poli imprenditoriali, per poter esportare frutta e gamberi. Ciò implicherà guadagno per pochi! I canali risulteranno inaccessibili per i popoli rivieraschi.
Crimini ambientali
Gravoso è l’impatto sull’assetto sociale delle popolazioni locali. I canali attraverseranno aree indigene, provocando deforestazione e depauperando fauna e flora. È un progetto non sostenibile sotto il profilo socio-ambientale, ma si tiene conto solo della realizzabilità economica.
Si sta perpetrando un crimine ambientale! Una petizione è stata inoltrata al Tribunale Federale, affinché siano esaminate le irregolarità giuridiche che l’opera comporta. Gli esponenti politici europei dovrebbero spingere Lula Da Silva a riflettere! Chiediamo un pronunciamento giudiziale sulle irregolarità prima del mese di ottobre 2010, data delle elezioni presidenziali: pertanto la trasposizione sia interrotta!
Si dice che il nordest è afflitto da siccità, ma il sottosuolo contiene acqua potabile; l’Agencia Nacional das Aguas ha approntato uno studio su alternative che consentano la distribuzione idrica nel Nordest. Esiste un programma per la creazione d’un milione di cisterne in aree semiaride, creato dalla Chiesa. Nel Cearà vi sono 60000 falde freatiche ricche d’acqua: perché non scavarvi cisterne?
Vi è un movimento di rappresentanza d’istanze indigene, basato su organizzazioni macroregionali come l’APOINME, che ha coalizzato i popoli indigeni nel nordest per lottare contro la trasposizione. Con tali popoli solidarizza la Commissione Pastorale per la Terra. Dom Luis Cappio ha avuto molto coraggio; per aprire la strada alla discussione con le autorità sul progetto ha messo a repentaglio la sua vita e pertanto merita enorme rispetto.