Cittadinanza sociale
Dai comizi elettorali, alle leggi xenofobe, alle ordinanze creative sino a raggiungere i banchi di scuola. Il successo della Lega registrato nelle recenti elezioni amministrative, anche in zone storicamente “abitate” dalla sinistra, segnala in modo evidente la direzione verso la quale stiamo andando. Forte di una progressiva legittimazione culturale, politica e sociale delle discriminazioni e del razzismo, in tempi di crisi la Lega Nord ha buon gioco nell’alimentare il conflitto tra cittadini nazionali e non in ambito locale.
Il dibattito pubblico e l’azione legislativa in materia di immigrazione si sono concentrati sino a oggi sulle politiche migratorie, ma è prevedibile che nei prossimi anni l’onda sicuritaria si estenda sempre più dalla normazione restrittiva degli ingressi e del soggiorno alla limitazione della garanzia dei diritti di cittadinanza sociale. A meno che non cambino totalmente il modello di declinazione della cittadinanza formale e sostanziale e l’orizzonte politico e culturale che sottendono il modello di governance delle migrazioni.
È sufficiente fare riferimento a quanto è avvenuto nell’ultimo anno per comprendere che nel prossimo futuro il welfare sarà uno dei terreni di “ispirazione” più fertili per la retorica xenofoba e razzista. Un’evoluzione inevitabile, se rimarrà egemone un modello di cittadinanza fondato sulla nazionalità e sul principio dello ius sanginis che nega a priori e non solo sul piano formale ai migranti il diritto di esistere.
A livello nazionale il tentativo di cancellare il diritto alla salute dei cittadini stranieri privi di permesso di soggiorno e il diritto all’istruzione per gli alunni “irregolari” (si ricordi il dibattito parlamentare del ddl. N. 733, oggi legge N. 94/2009), la mozione parlamentare della Lega finalizzata a istituire le classi di inserimento (15 ottobre 2008), la circolare della ministra Gelmini che fissa un tetto del 30% alla presenza di ragazzi di cittadinanza non italiana nelle classi scolastiche (circolare N.2 dell’8 gennaio 2010), l’azzeramento del fondo nazionale per l’inclusione dei migranti istituito nel 2007 dal governo Prodi hanno delineato i contorni di una strategia politica che tende a ridurre progressivamente gli spazi di cittadinanza sostanziale per chi è nato o proviene da altrove.
Ma è il livello locale che, in mancanza di proposte politiche alternative, sarà destinato a esprimere i conflitti più accesi. Le ordinanze “creative” che hanno esibito la “tolleranza zero” nei confronti di lavavetri, artisti di strada, venditori ambulanti, questuanti, parcheggiatori e “campeggiatori abusivi”, rischiano di essere rapidamente “superate” da provvedimenti di dirigenti pubblici particolarmente attenti ai costi dei servizi quando a usufruirne sono cittadini di origine straniera. Così succede che a Montecchio Maggiore (VI, 22 Marzo 2010) e ad Adro, (BS 9 aprile 2010) il mancato pagamento del servizio mensa da parte di alcuni genitori di origine straniera spinga il sindaco a lasciare i bambini senza cibo, anziché a intervenire con un sostegno sociale alle famiglie. La carenza di asili nido, di strutture per l’infanzia e di alloggi popolari non induce a investire maggiori risorse per creare nuovi servizi e ampliare l’edilizia residenziale pubblica, ma a modulare i requisiti di accesso in modo tale da privilegiare l’accesso dei bambini e dei cittadini nazionali.
È un intero modello sociale che deve essere ripensato, ma per farlo servono principi di riferimento alternativi. Le istituzioni locali godono oggi di un elevato livello di autonomia che consente loro di disegnare modelli urbani a misura d’uomo, rispettosi dell’ambiente, poli-culturali. Si può scegliere di costruire città escludenti o inclusive, città che marcano le disuguaglianze sociali o che tentano di attutirle, città che si rivolgono al “cittadino” disumanizzandolo o alle persone, indipendentemente dalle loro origini nazionali. Si può scegliere. E sarebbe auspicabile che la sinistra del futuro facesse la scelta giusta.