Una trappola in cui non cadremo
Questa è l’ora in cui, più che in ogni altro tempo, bisogna vigilare con scrupolo e non lasciarsi attirare nella trappola della violenza. È sotto gli occhi di tutti che la questione israelopalestinese procede con la stessa cadenza da anni, elevando di volta in volta il livello dello scontro. Ad ogni tornata, la macchina da guerra israeliana mette a segno un nuovo raid e miete altre vittime, radicalizza lo scontro suscitando non solo rabbia e indignazione in tutte le coscienze libere e oneste del mondo, ma anche la peggiore espressione delle aree più estremiste del fronte palestinese. La nave turca che portava il suo carico di nonviolenza e di solidarietà verso la prigione a cielo aperto della Striscia di Gaza poteva essere neutralizzata in vari modi. La stessa conclusione della vicenda della nave Rachel Corrie ne è la prova! Deliberatamente si è scelto da parte israeliana di intervenire con un uso spropositato di violenza. È l’unica maniera per poter creare ulteriore tensione, per alimentare quel circolo di odio e di aggressività che arriva a invocare il terrorismo nelle piazze, a cedere alla disperazione scegliendo il martirio suicida, a inveire contro tutto un popolo e contro la sua stessa storia. È una trappola che non merita il nostro contributo. Non devono costringerci all’allineamento con gli estremismi peggiori. Non devono riuscire a trasformare le nostre scelte, a modificare il nostro credo. Non possono forzarci a diventare come loro! D’altra parte, il muro nei territori e l’assedio della Striscia, sono i simboli di una violenza quotidiana e continua che non possono essere abbattuti da una forza più violenta. Possiamo solo sperare nei risultati della diplomazia dal basso che stringe patti con lembi di società civile israeliana e palestinese che, anche contro ogni evidenza, continuano a scommettere su una terra condivisa. Possiamo sperare di condizionare pezzi di politica internazionale denunciando le ipocrisie dei governi per i quali gli affari sono più importanti dei diritti delle persone. Possiamo parlare alle coscienze degli uomini e delle donne per dire che la pace e la sicurezza autentica si costruiscono con i ponti e non con i muri. Abbiamo il dovere morale di non lasciarci intrappolare dalla violenza ma da una speranza controvento, una solidarietà più forte, un dialogo capace di ascoltare le ragioni e il dolore dell’altro. Né immolare sacrifici sull’altare dell’idolo della sicurezza, né illudersi che la soluzione possa essere figlia del sangue sparso dal nemico. Solo affrettare l’alba di una notte troppo lunga e troppo insonne.