Dov’è tuo fratello?
La spada è il simbolo di qualsiasi arma che offende la vita. È il simbolo del peccato più grande contro l’essere umano e, dunque, anche contro Dio, creatore della vita. L’omicidio che la spada commette e diffonde è il grande peccato del mondo, entrato anche nella Chiesa che, storicamente, ha giustificato l’uso della spada, compiendo, in nome del Vangelo, atrocità inaccettabili. I cristiani si sono combattuti tra di loro, ognuno invocando sulla propria spada la benedizione di Dio. E oggi, qual è il rapporto delle Chiese con la spada? C’è una forte ambiguità.
Le Chiese, pur parlando di pace, pare che non si siano innamorate del Cristo nonviolento, e dunque non hanno sposato, in lui, la nonviolenza. Le Chiese continuano a ritenere opportuno e giustificabile il mantenimento di apparati militari pronti alla difesa armata; continuano a considerare alcune guerre inevitabili, necessarie; le hanno rese accettabili alle coscienze attraverso la dottrina della guerra giusta, come se questa fosse deducibile dal Vangelo. Le Chiese, tuttora – nonostante il loro pensiero oggi sia diversificato –annunziano una pace non assoluta, tra parentesi. Ma Gesù ha previsto eccezioni al “non uccidere”? È possibile difendere la legittimità della guerra (e dunque anche delle armi di difesa) appellandosi ai valori cristiani? Che cosa ci ha rivelato Gesù sulla pace? Che cosa abbiamo accettato o rifiutato di questa sua rivelazione? Gesù ci ha annunciato la vittoria sulla morte; noi invece continuiamo a riprodurre e convivere con strumenti di morte; a dare fiducia alle armi, in nome del diritto alla legittima difesa. Ma quando pensiamo in questi termini, stiamo pensando da cristiani? Forse ci siamo talmente abituati alla normalità delle armi, da non riuscire neppure a vedere la gravità di un problema che intacca la credibilità delle nostre Chiese e, soprattutto, della nostra fede. Le riflessioni che seguono vogliono porre l’interrogativo se sia ancora accettabile, per il popolo cristiano, continuare a vivere in una strutturata contraddizione con i principi del Vangelo e se non sia giunto il momento di chiedere perdono, di convertirci, come singoli e come Chiese. Il Consiglio Ecumenico delle Chiese, soprattutto negli ultimi anni, ha concentrato la sua riflessione proprio in questa direzione, promuovendo nel 2001 un “Decennio per il superamento della violenza”, che culminerà con una Convocatoria Ecumenica Internazionale per la pace (Kingston, 2011), attraverso la quale tutte le Chiese sono invitate a collaborare per definire una “Dichiarazione comune sulla pace giusta”.
Una sola voce
Tutti i credenti vogliono seguire la voce della verità. La cerchiamo disperatamente. In mezzo a tante parole, aneliamo alla Parola, alla verità – una voce sola, una – che si distacchi dal coro, che raccolga i lamenti, i vagiti di un mondo che cerca la pace; come si cerca l’acqua, pura e fresca; come si ricerca l’aria, il respiro, la vita. È la stessa voce una che Bonhoeffer supplicava, alle Chiese del mondo, di pronunciare assieme, affinché diventassero la Chiesa della Pace. “Ascolteranno la mia voce, e diventeranno un solo gregge e un solo pastore” (Gv 10,16); seguiranno la stessa via, la sua, e con lui sino alla croce, se necessario. Una sola strada, un solo ideale, una sola voce: l’amore sopra ogni cosa. L’unità rivela, così, la sua vera natura divina: ha la forza dell’Uno che diventa eternamente invincibile nei Tre, a immagine della parola che diventa frase, di un gesto d’amore che diventa vita, persona, comunione.Non lasciamoci guidare nelle divisioni, da qualsiasi parte esse vengano, ma lottiamo, per fede, nella ricerca continua di parole e gesti di comunione, di accoglienza, di comprensione, di speranza, di pace. La comunione, prima di tutto, per il senso eucaristico che ha assunto la nostra vita di battezzati. Comunione senza se e senza ma, che lotta per la giustizia, che sa tenere uniti. Una famiglia non si arma per difendersi dai suoi membri: sarebbe follia. Come la guerra, la follia del mondo intero; la violenza contro i propri simili è una scheggia di follia. Risuona la voce profetica, nonviolenta, pacifica di Franz Jagerstatter, santificato nella sua scelta cristiana del rifiuto di imbracciare un fucile, che lo ha condotto alla morte. Non è caduto nel vortice della pazzia della guerra. Un santo. Un esempio. Una voce profetica, cristiana, sulla pace, che ci dice come la pace sia rifiuto di adeguarsi al mondo, scelta di rifiutare le armi. Rigettare di piegarsi al male, anche sotto tortura o minaccia di morte, di rinnegare i valori di fraternità universale e di pace; in poche parole, rifiutarsi di divenire complici dei costruttori di guerre. È questa la voce profetica della verità: rifiutare la guerra. E proprio questa voce unica dovrebbe qualificare la Chiesa, ancora, invece, cassa di risonanza di voci discordi tra loro.
Pace ad intra e ad extra
Analizzando numerosi documenti del Consiglio Ecumenico delle Chiese, mi pare di poter affermare che quest’ultime, sul tema della pace, abbiano avuto molta attenzione ad extra, cioè abbiano fatto molte dichiarazioni o esortazioni rivolte agli Stati, ai governi, affinché cessino di fare guerre, limitino la produzione di armi, sospendano esperimenti nucleari, inizino la via del disarmo, ecc., ma poca riflessione ad intra, cioè sul significato e sul valore teologico della pace per i credenti, sulla pace come esperienza di fede e il suo valore rivelativo. Manca cioè, a mio parere, il punto di partenza, il fondamento: una fede assoluta nella pace. Fondamento che deve diventare annuncio, motivato teologicamente, rivolto prima di tutto al mondo cristiano. Ma occorre che diventi, senza ambiguità, un “punto di non-ritorno” per la fede. Quanti pronunciamenti del CEC per la pace, rivolti al mondo rappresentano purtroppo carta straccia, accumuli di parole che non hanno sortito alcun effetto!... L’annuncio ad intra è l’unico percorso che attualmente può essere fecondo e può avere uno sviluppo, un senso..
Portare la riflessione delle Chiese sulla dottrina della guerra giusta sarebbe un modo per affrontare il tema della pace ad intra: la costruzione di una vera teologia della pace può nascere solo all’interno delle singole Chiese e dal confronto fra queste e i credenti. La pace va creduta per fede e, in quanto tale, accettata. È importante che ogni Chiesa arrivi a superare il vicolo mortale nel quale la dottrina della guerra giusta l’ha portata.
Verso Kingston
Tanti beati costruttori di pace, nel mondo, attendono con trepidazione il 2011, con la speranza che a Kingston, le Chiese di tutto il mondo, riunite per dichiarare le ragioni di una pace giusta, sapranno accogliere l’invito dello Spirito Santo per iniziare così a cambiare se stesse e il mondo, ispirate e dirette dalla Pace di Cristo, quella vera.
Le Chiese dovranno mettersi tutte di fronte a qualcosa di molto più grande di loro: la Parola dell’Eterno, il Principe della Pace. Lo faranno, sia che lo abbiano scelto di loro iniziativa, sia che vi siano state trascinate dalle circostanze. A Kingston, mettersi di fronte alla questione Pace equivarrà al porsi di fronte a Dio. Saremo costretti ad ascoltare, tutti assieme, le parole eterne, che risuonano ancora nell’oggi: “Adamo.. Terra mia… Mio popolo: Dov’è il tuo fratello?”. Dov’è il fratello che i tuoi consumi hanno impoverito fino a farlo morire di fame e di malattie… quello che i tuoi sporchi giochi di potere hanno trascinato a uccidere o a essere ucciso, nelle maledette guerre? Tu hai parlato di pace e hai taciuto, hai permesso l’uccisione dei tuoi fratelli. Hai detto che una guerra è giusta, che le armi sono essenziali per la legittima difesa. La senti ora la mia voce? Li vedi, ora, i tuoi fratelli?