Cattocomunisti, cattofascisti, cattoleghisti
Era di moda, alcuni decenni fa, indicare come “cattocomunisti” i cattolici che, ponendosi dalla parte dei lavoratori, degli emarginati, dei più poveri, si trovavano schierati con i comunisti, ispirati da Karl Marx nella promozione del proletariato, cioè di coloro che, lavorando alle dipendenze di chi domina in forza del proprio “capitale”, di denaro o di beni, non poteva contrapporre che il capitale della propria prole.
Questa denominazione, cara ad esempio al defunto don Gianni Baget Bozzo, viene talora ancora usata, tanto da essere stata apposta di recente anche ad un prelato vaticano – tra l’altro noto per le sue posizioni “tradizionaliste”, tali da farlo inserire nella lista dei “conservatori” – solo perché si era fatto difensore degli immigrati.
Io stesso me la sono sentita affibbiare da quando, presidente di Pax Christi, avevo promosso l’obiezione di coscienza al servizio militare (e dire che essa era proibita nei Paesi comunisti!), ma soprattutto quando, rispondendo alla mano tesa ai cattolici da parte di Enrico Berlinguer, segretario del Partito Comunista Italiano, l’avevo stimolato a mettere tra parentesi le ideologie e ad aprire campi di impegno in cui anche i cattolici potessero collaborare a favore dei settori più disagiati della società. Berlinguer aveva risposto che il suo partito non era né teista, né ateista, né antiteista, ma voleva essere invece un partito “laico” a vantaggio dei lavoratori. E questo mi faceva già pensare come le discriminazioni usuali nel mondo “borghese”, e soprattutto le loro motivazioni, costituissero quasi un riconoscimento di priorità evangelica ad un movimento che si metteva così in linea con le priorità di Gesù e del Vangelo (il primo “comunismo” venne attuato dalla Chiesa primitiva, come attestano gli Atti degli Apostoli), e che andava solo sollecitato ad abbandonare le radici storiche, legate a prospettive materialiste e atee.
Mi chiedo allora cosa si dovrebbe dire di movimenti, che magari si alleano alla Chiesa per motivi contingenti, ma che hanno radici in contrasto con l’universalità del messaggio cristiano e con la caratteristica dell’insegnamento di Gesù, che è quello di “amarsi come Lui ci ha amati”, amando anche i nemici, dedicandosi così agli altri, al di là dei propri interessi, donandosi fino a morire come Lui ha fatto.
Penso ad esempio al fascismo, che si rese benemerito alla Chiesa cattolica per aver risolto il problema del Risorgimento anticlericale, anche se questo era stato alimentato dall’astensionismo cattolico – il non expedit – partito come ripicca contro il rifiuto di ammettere cittadini (anche sacerdoti) considerati troppo virulenti. Il fascismo, oltreché mettere condizioni iugulatorie (ad esempio sulla nomina dei vescovi o sui movimenti cattolici giovanili), godette di una certa tolleranza ecclesiale in occasione della guerra in Etiopia (avviata per motivi di prestigio e condotta anche con l’uso di gas tossici e con stragi di ecclesiastici copti), della persecuzione antiebraica (anche se poi si esercitò la carità ospitando ebrei in seminari e monasteri) e della guerra accanto alla Germania, proclamata per ottenere benefici al tavolo della pace (ci facevano sognare la conquista di “Nizza, Savoia, Corsica”) e realizzata non solo con l’esortazione all’odio (“Dio stramaledica gli inglesi!”) ma anche con barbarie (in Grecia e Montenegro). Eppure allora gran parte del popolo italiano (e anch’io, adolescente, non ricevevo molti anticorpi negli ambienti ecclesiali che frequentavo) si sarebbe potuto definire “cattofascista”. E ancora oggi troppi rimpiangono quel tempo, che poteva illudere con un certo sviluppo e con la fierezza della Patria, ma che sponsorizzava il dominio del ceto medio sulla maggioranza dei lavoratori dell’industria e dell’agricoltura e che chiudeva gli occhi ai soprusi della dittatura in vista di favori accordati alle istituzioni pubbliche ed ecclesiali.
Non vorrei che questo si ripetesse nei confronti della Lega, partita con l’appello al “dio Po e alla religione celtica”, che oggi vuole considerare come folclore (ma per molto meno si diffida chi si ispira alle religioni antiche), dando lezioni di identità cristiana perfino all’arcivescovo di Milano – definito un imam perché voleva garantire agli immigrati musulmani un edificio di culto e dignità personale –, ma che conquista simpatie speculando proprio sull’identità cristiana contro i musulmani e sull’aumento degli immigrati che minaccerebbe la sicurezza ed il benessere degli italiani. A parte il fatto che il decremento delle nascite tra gli italiani rende indispensabile l’immigrazione (se la maggioranza delle famiglie non oltrepassa i due figli, chi bilancerà i singoli – anche preti e religiosi – che non hanno figli?), è soprattutto il modo con cui vengono respinti gli immigrati (tra cui anche esuli politici che la Costituzione italiana esige che si accolgano), disinteressandosi se questi rifiuti possono provocare vittime, magari poi utilizzando “in nero” e imponendo vessazioni a quelli che potrebbero restare. Come si può chiamare identità cristiana quella che esalta l’immagine del Crocifisso ma poi crocifigge tanti fratelli, contravvenendo la caratteristica che Gesù ha voluto dare ai suoi discepoli?
Riconosco le paure ed i timori di tanti cittadini, anche di cittadini “cattolici”, a giudicare dai consensi che la Lega riscuote in territori tradizionalmente “cattolici”; ma per onestà si dovrebbero rivendicare le vere motivazioni, senza strumentalizzare una religione che invece si tradisce. Perché la Dottrina sociale della Chiesa, soprattutto negli ultimi tempi, ribadisce che non si deve partire dalla proprietà privata, bensì dalla destinazione universale dei beni, a cui la stessa proprietà privata – dei singoli e dei popoli – va subordinata.
Nel rapporto con le altre religioni, come non pensare all’invito fatto autorevolmente dal Concilio Vaticano II al dialogo interreligioso, anche come incoraggiamento alle altre religioni o confessioni a lasciare ostilità suggerite dalla storia (anche da una storia cristiana talora violenta)?
Credo che dovremmo essere più attenti alla verità reale del messaggio cristiano, per non finire in un “cattoleghismo” che, come il “cattofascismo”, proprio per la chiusura e quindi l’egoismo delle motivazioni di fondo, si mostra ben più lontano dal cristianesimo del cattocomunismo. Perché questo almeno partiva, come Gesù, dall’attenzione al prossimo, mentre gli altri due “catto” partono dalla chiusura su di sé.
O, se vogliamo rivendicare il nostro cattolicesimo, non dovremmo tutti rifarci più chiaramente al Vangelo, rispettandoci vicendevolmente nella carità, che ci fa crescere tutti e ci rende, solo quella, veri discepoli di Gesù, veri cattolici.