Prima di tutto il bene comune
Una mappa per leggere l’Italia di oggi e individuare un’“agenda di problemi”. È l’intento del documento preparatorio alla prossima Settimana Sociale della Chiesa italiana. Il testo, intitolato Il Bene comune oggi. Un impegno che viene da lontano, è stato confezionato in “progress”, preceduto da incontri con diocesi e associazioni su tutto il territorio, supportato da un sito (www.settimanesociali.it) dove sono pervenuti suggerimenti e contributi. La premessa da cui parte è lodevole: meglio individuare pochi punti chiave su cui discutere e ripartire con proposte chiare, per la società e la Chiesa.
L’impressione, leggendo il testo, è che il tentativo di riduzione della complessità alle cinque linee direttrici sia riuscito solo in parte: le chiavi di lettura offerte finiscono per richiamare a loro volta altre analisi e tematiche, ridisegnando infine la mappa complessa e complicata del nostro Paese, con un’enciclopedia di questioni, più che un’agenda.
Una delle ambizioni che ritorna in diverse pagine è l’auspicio che si inauguri una nuova stagione di presenza dei cattolici in politica, richiamando le parole pronunciate da Benedetto XVI a Cagliari nel settembre 2008. Non a caso il testo, il 20 luglio scorso, è stato presentato ai parlamentari alla Camera. E una delle figure che ha guidato il cammino preparatorio, al quale è stato anche dedicato un seminario di studio, è stato don Luigi Sturzo. Infine, una delle preoccupazioni maggiori che attraversa il testo è la tenuta dell’unità nazionale, laddove il binomio federalismo e sussidiarietà segna diversi punti dell’analisi.
Il documento si apre con una riflessione su bene comune globale e questione nazionale con l’invito a non demonizzare la globalizzazione. Anzi: “L’esperienza dei cattolici e l’insegnamento sociale della Chiesa hanno maturato un giudizio di fondo positivo che l’Enciclica Caritas in veritate esprime con grande chiarezza: «La novità principale [dei quarant’anni che ci separano dalle pubblicazione della Populorum progressio] è stata l’esplosione dell’interdipendenza planetaria, ormai comunemente nota come globalizzazione. Paolo VI l’aveva parzialmente prevista, ma i termini e l’impetuosità con cui essa si è evoluta sono sorprendenti. (…) Esso [quel processo] è stato il principale motore per l’uscita dal sottosviluppo di intere regioni e rappresenta di per sé una grande opportunità» (n. 33). Attraverso il riferimento a Paolo VI, si porta a maturazione un’intuizione straordinaria e tempestiva del Concilio Vaticano II. Cosciente dei rischi e delle inevitabili ambiguità di questo processo storico, esso aveva colto un “segno dei tempi” nella crescente capacità delle nostre generazioni di avvertire e di praticare «così lucidamente la sua unità e la mutua interdipendenza dei singoli in una necessaria solidarietà» (GS, 4)”.
In questo contesto sono dunque cinque le direttrici di marcia individuate, sulle quali viene proposta una lista di problemi, espressi sotto forme di interrogativi.
Intraprendere. Quattro sono i problemi individuati “per tornare a liberare e regolare in modo efficace le energie, attive o potenzialmente tali, dell’intraprendere”: la precarietà e i privilegi del mercato del lavoro, con scarsa partecipazione, flessibilità e eterogeneità. In Italia, è scritto, esistono questioni come quella femminile e la scarsa mobilità sociale, che sono gravi e di gran lunga precedenti la grave recessione attuale. I tre nuclei problematici messi a fuoco sono: le politiche fiscali a sostegno della famiglia con figli; la redistribuzione della pressione fiscale, spostandola anzitutto dal lavoro e dagli investimenti alle rendite; il sostegno alla crescita delle imprese.
Educare. Gli adulti che “accompagnano nell’avventura educativa i giovani e i piccoli” vengono individuate come una risorsa su cui investire. La centralità degli insegnanti viene riconosciuta come un bene fondamentale, in un panorama che non valorizza la funzione del docente e la sua assunzione di responsabilità: la riforma della scuola ancora incompiuta, all’interno di un indefinito decentramento delle competenze alle Regioni, in una stagione di tagli che sta creando un clima non sereno, sono alcuni degli elementi presi in considerazione.
Includere nuove presenze. Il grande capitolo dei flussi migratori, della presenza degli stranieri in Italia e soprattutto dei loro figli, nati nel nostro Paese, apre al nodo del riconoscimento della cittadinanza e al confronto con l’esperienza maturata dalle altre nazioni: “Il riconoscimento della cittadinanza da parte dello Stato italiano è solo una condizione, certo necessaria ma non sufficiente, per una piena interazione/integrazione delle seconde generazioni nella società italiana. Riconoscere e far rispettare i diritti dei figli dell’immigrazione è infatti una responsabilità collettiva”.
Slegare la mobilità sociale. È centrato sui giovani, “che pagano più di tutti i costi della crisi” questa quarta chiave di analisi: si parte dal sistema universitario e si passa alle professioni e al ruolo degli ordini professionali.
Completare la transizione istituzionale. L’analisi della situazione politica porta il testo a chiamare direttamente in causa i cattolici e a ribadire l’adesione alla Costituzione, contro gli attacchi che le giungono da più parte e in nome dell’equilibrio tra i poteri. Il ragionamento è chiaro: “Le preoccupazioni per il bilanciamento dei poteri sono l’essenza di un regime politico che rispetta la libertà e i diritti fondamentali in un quadro sociale poliarchico. È per questo che le istituzioni politiche debbono completare il passaggio a un modello più competitivo. Tale passaggio non solo rafforza il radicamento della Costituzione repubblicana, ma ne è, per così dire, l’effetto. Non dobbiamo sbagliare la prospettiva: è l’incertezza del modello così come lo vediamo oggi realizzato a generare continue tensioni per l’equilibrio costituzionale, non il suo auspicabile coerente completamento.
Come si vede una carrellata di problematiche molto dense e disparate che dal 14 al 17 ottobre vedranno i delegati convenuti a Reggio Calabria discutere, non tanto per offrire soluzioni, ma “perché le esigenze della giustizia diventino comprensibili e politicamente realizzabili”.