PRATICHE DI PACE

Vicini di banco

Quando la diversità può costituire un problema: percorsi e proposte di educazione alla convivenza interculturale nelle scuole.
Pio Castagna

Da più parti emergono richieste di modalità con cui proporre percorsi di educazione alla pace. Si avverte un bisogno diffuso di pragmaticità, a fronte di tante idee e ricerche sull’argomento. Io credo che ciascun educatore abbia il compito di trasformare le conoscenze acquisite in conseguenti piste di apprendimento concreto per sostenere e arricchire, in tal modo, buone pratiche di educazione alla pace.

Una tra le tante emergenze educative oggi è l’intolleranza verso quanti per etnia, per lingua, per religione, per costume e cultura, sono diversi da noi; spesso, cioè, la diversità costituisce un problema. Riporto di seguito l’esperienza di un progetto interculturale, realizzato in una scuola superiore frequentata anche da stranieri.

Il primo incontro lo si può dedicare alla presentazione, ovvero alla conoscenza reciproca, per la creazione di un buon clima di fiducia nel gruppo e di condivisione delle regole. Può seguire una fase di perlustrazione dei nomi, per cogliere legami con la loro storia e la loro cultura, ma anche con le nostre storie e la nostra cultura. A proposito delle regole, in questo momento è importante capire come comportarsi quando uno non capisce o quando qualcuno non si trova a suo agio. In questi casi come decidere? 

Aspettative: su un cartellone, o con appositi giochi, si possono raccogliere i bisogni di tutti, favorendo la richiesta di eventuali chiarimenti. Su un altro tabellone si possono riportare le reazioni di ciascuno alle aspettative espresse, al fine di avere la misura della temperatura emotiva del gruppo e potersi regolare di conseguenza.

Cooperazione: per superare il pregiudizio della scarsa conoscenza dell’altro, possono essere svolte attività con lo scopo di garantire il successo del gruppo in cui tutti possono collaborare per un fine comune.

Clima di fiducia: il fine di questa fase è di percepire l’altro come opportunità, piuttosto che come minaccia e quindi svolgere attività tese a creare un clima di accoglienza reciproca.

Rapporto tra gruppo e Paese/cultura di provenienza: favorire attività per conoscere la propria identità di italiani e non, per lavorare sulla prevenzione dei pregiudizi.

Esperienze personali di razzismo (o di intolleranza): lo scopo di questa fase è quello di far comprendere che la diversità non è un problema. Proporre, allora, una serie di attività volte a interrogarsi sulle proprie personali reazioni alla diversità, anche quando questa non costituisce un serio problema.

Agire la diversità: saranno proposti una serie di giochi-esercizi, per far sperimentare i meccanismi dell’accoglienza, dell’esclusione e le sensazioni di potere o non potere, al fine di cercare le strade attraverso cui non soccombere di fronte a dinamiche di sopruso e oppressione e, non ultimo, anche l’obiettivo di far cambiare il comportamento di chi usa il potere in modo coercitivo.

Giochi di ruolo sulla diversità: attraverso questa fase è possibile sperimentare altre modalità di rapporto, quando ci si trova di fronte a culture diverse, di costumi e di linguaggi.

Sviluppare strategie e abilità antirazziste: per quanti non avessero conoscenze o abilità in giochi di ruolo o in Teatro dell’Oppresso, è opportuno far sperimentare ai partecipanti il passaggio dall’analisi delle esperienze, alla capacità di effettuare cambiamenti, con la riappropriazione del potere e la prevenzione di comportamenti di esclusione.

Valutazione finale: mira a fare il punto della situazione sia rispetto alle aspettative che all’assunzione di responsabilità circa le ricadute nella quotidianità che l’esperienza può comportare.

Naturalmente quanto proposto schematicamente sull’educazione alla diversità, fornisce spunti per quanti sono interessati ad avviare progetti in merito. 

 

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