INCONTRI

Un sogno condiviso

Commenti e fotografie del convegno in preparazione dell’incontro ecumenico di Kingston.
Gina Abbate

Il convegno ecumenico del 2 giugno scorso a Milano ci ha rimessi in cammino. Convenuti da realtà diverse d’Italia, e non solo in senso geografico, ha permesso davvero che toccassimo con mano quello che il presidente di Pax Christi Italia, mons. Giovanni Giudici, chiamava rilancio di un “sogno”, un convocarsi in modo sempre più allargato, a onda, di cristiani che sentono l’urgenza di “mettersi in ascolto della Parola e della storia di oggi, per leggere i nuovi contesti di conflitto che stanno emergendo e per attrezzarsi a diventare soggetti attivi di pace e riconciliazione attraverso la nonviolenza”.

Vale la pena sottolineare alcune note forti emerse , su cui continuare a lavorare. 

È unanime la percezione della sfida che interpella soprattutto le Chiese: non possiamo dirci cristiani, sottolineava nell’introduzione la pastora Letizia Tomassone, senza prendere un preciso impegno per superare la violenza. 

E guardando in faccia il modo in cui si presenta oggi il sistema di violenza, il prof. Massimo De Giuseppe indicava lo stretto legame tra sistema economico-guerra-media, in un contesto privo di antidoti critici.

Le Chiese sul tema della pace misurano la loro fedeltà al Signore, faceva eco il prof. Brunetto Salvarani, moderatore della tavola rotonda. Paolo Ricca, pastore della Chiesa valdese che molti di noi sentono maestro, ci ha donato ancora una volta la sua lucida e appassionata ricerca dei fondamenti biblico-teologici dell’impegno per la pace:

- la violenza come negazione della propria umanità;

- l’ultima parola nella Bibbia non è la violenza;

- dove la violenza è abbondata, la nonviolenza è sovrabbondata;

- la conversione di Dio dalla violenza alla nonviolenza (pagine del diluvio) è senza ritorno: l’arcobaleno come sacramento della nonviolenza;

- la croce: Dio preferisce subire la violenza che compierla;

- visione messianica: pace tra uomo e animali; 

- l’amore per i nemici come la più alta parola della Bibbia e della sapienza umana. Non è una strategia per disarmare, non ha un secondo fine, bensì solo quello di essere l’icona di Dio nella storia;

- l’uomo è nuovo in quanto disarmato, è qualcosa di radicale, come una nascita: occorre introdurre un altro modo di essere uomo;

- le Chiese come un ecumene di scuole della nonviolenza sparse per il mondo.

Un’immagine, quest’ultima, talmente suggestiva che spero sia ripresa alla lettera nella Dichiarazione di Kingston.

E la teologa Serena Noceti metteva  il punto sulla necessità di una  cultura nonviolenta nella Chiesa stessa, così lontana, quella cattolica, da processi sinodali: e sulle caratteristiche di Chiese nonviolente: l’inclusività, il pluralismo, il confronto con le culture, la situazione della donna, la scelta ecumenica, la verifica di come viene esercitato il potere, il superamento dei conflitti in modo nonviolento, la possibilità di denuncia… 

Come vivere la nonviolenza in forme istituzionalizzate, anche nelle Chiese? 

Resta l’impegno di un più capillare coinvolgimento in Italia: mettersi in cammino come rete di Chiese per la pace, uscire da un provincialismo asfissiante che aliena dai problemi del nostro tempo, che fa perdere di vista il senso dell’essere Chiese.

Siamo solo agli inizi, ma sapremo accogliere il buon seme che lo Spirito del Signore sparge in sovrabbondanza e potremo contribuire ad aprire strade nuove, insperate. 

 

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