L’atomica è antievangelica
Con la rinuncia alla profezia della pace e l’adattamento alla cultura della guerra – che implica l’idea del nemico da combattere e della fede da difendere (anche con le armi) – la Chiesa, anziché educare l’umanità alla fraternità universale, al dialogo, alla fiducia, ha permesso la crescita esponenziale della violenza che, in modo tragico, ha svelato il suo volto deforme e mortifero alla fine della seconda guerra mondiale. Ma l’atomica di Hiroshima, al contrario della sua forma assunta nell’esplosione, non è nata “come un fungo” dall’oggi al domani. Se tutte le Chiese avessero annunciato il Vangelo sull’esempio e le indicazioni del loro Signore, non saremmo mai arrivati a tanto; se le coscienze fossero state illuminate, la delegittimazione dell’orrenda anti-creazione rappresentata dall’atomica sarebbe avvenuta molto prima.
La guerra ingiusta
Si è dovuti arrivare allo spettacolo infernale dell’atomica, prima che la Chiesa iniziasse a capire quanto si fosse allontanata dal progetto di Dio; non che prima non parlasse di pace, ma lo faceva in modo ambiguo e, soprattutto, mai mettendo in discussione la bontà e la necessità della forza militare. Tipica espressione di questa ambiguità, è la dottrina della guerra giusta, che ci accompagna ormai da 1500 anni.
Nel mondo cattolico, la prima posizione ufficiale e autorevole a favore della pace, la troviamo solo nel 1963: un vecchio Papa fa compiere alla Chiesa un faticoso passo in avanti sulla via della pace, il primo vero passo, perché privo delle ambiguità del passato: “alienum est a ratione” cioè, è un pensiero da folli credere che la guerra possa risolvere i conflitti e creare giustizia (Giovanni XXIII, Pacem in Terris, n. 67); questa è la denuncia che scaturisce dal cuore del “Papa buono”. Ma, morto Giovanni XXIII, il Concilio Vaticano II abbandona quel solco tracciato e decide di non seguire la radicalità del pensiero del Papa sulla guerra espressa nella Pacem in Terris; del resto, c’era poco da aspettarsi, dopo una traduzione ufficiale dell’enciclica che, in quel passaggio così importante, cambia le parole inequivocabili dell’originale latino con la debole e poco incisiva frase: “Riesce quasi impossibile pensare che nell’era atomica la guerra possa essere utilizzata come strumento di giustizia...”.
La pace che ci offre il Concilio, alla fine, è il risultato di una diplomatica conciliazione di due visioni che contrastano, di posizioni che, coesistendo, tendono ad annullarsi, consegnando al mondo l’annuncio di una verità ambigua; infatti, pur condannando quella che definisce guerra totale (“Ogni atto di guerra che indiscriminatamente mira alla distruzione di intere città o di vaste regioni e dei loro abitanti è delitto contro Dio e contro la stessa umanità, e con fermezza e senza esitazione deve essere condannato”, Gaudium et Spes, n. 80), il documento utilizza poi una sottigliezza di raffinato tomismo: condanna cioè l’uso delle armi atomiche ma non la deterrenza, che – è quanto si ricava dalla Gaudium et Spes – in qualche modo, provvisoriamente, serve ancora a contenere le guerre (cfr. GS 79).
Anziché condannare perentoriamente la corsa agli armamenti come opposta al piano di Dio, la si valuta dalla prospettiva della “sicurezza”, dicendo soltanto che “non è una via sicura per conservare saldamente la pace”; inoltre, si smorza in qualche modo la gravità del processo di accumulo delle armi, affermando che: “Le armi scientifiche, è vero, non vengono accumulate con l’unica intenzione di poterle usare in tempo di guerra”. Al di là dell’impasse sul piano logico a cui queste premesse fanno giungere (legittimo accumulare e sviluppare l’arsenale atomico ma illegittimo usarlo) questo voltarsi indietro del Concilio – che si è astenuto da una condanna univoca delle armi – ha in pratica rappresentato, per i governi occidentali di tradizione cristiana, una sorta di avallo religioso, una benedizione all’escalation atomica, e il “pachiderma-chiesa”, che con papa Roncalli aveva lentamente iniziato a muoversi sulla via della pace evangelica, ha rifatto un passo indietro, tornandosi a rifugiare nella grotta della convenienza politica e dello status quo.
Se la Chiesa lungo i secoli ha detto ben poco di profetico, per superare il fenomeno della guerra, lo stesso continua a fare oggi. E ciò che preoccupa di più è che, se anche la Chiesa ora confermasse in modo inconfutabile, il suo no alle armi atomiche, deterrenza compresa, i problemi di fondo rimarrebbero comunque aperti e irrisolti.
Intanto, è sufficiente cambiare il nome alle cose pur di non cambiare la realtà: come con la parola “guerra” (sostituita da altri termini: operazione di polizia internazionale, responsabilità a difendere, legittima difesa, giusta difesa, oppure alla quale viene aggiunta una specificazione, come: guerra difensiva, guerra preventiva.. guerra giusta), così si potrebbero chiamare anche le armi con nomi che occultino il loro potenziale distruttivo.
Ma, soprattutto, se la Chiesa lanciasse una crociata mirata alle sole armi nucleari, apparirebbe una scelta dettata non tanto da un “si” al Vangelo, ma dalla paura della morte. Non si può accettare, per principio, che la Chiesa condanni la guerra atomica solo per il fatto che essa è divenuta palesemente insensata, in quanto presuppone l’annientamento di entrambi i contendenti; ma neanche per il fatto che ha assunto la caratteristiche di guerra “totale” (come specifica il Concilio). Se la Chiesa è ferma a questo stadio, non si interromperà la corsa al perfezionamento delle armi, perché sarà sempre viva nell’essere umano l’illusione di trovare quella davvero invincibile e i rischi della tragedia aumenteranno.
È il combattimento violento e armato che deve essere fuori della logica cristiana; è qualsiasi tipo di arma che la Chiesa deve condannare; sono i piani “militari” di qualsiasi livello che vanno rigettati dal messaggio cristiano, per assoluta inconciliabilità col disegno di Dio, compresa la difesa armata.
Limitare la denuncia cristiana alle armi nucleari può paradossalmente comportare la giustificazione di altri tipi di arma; Non credo opportuno fissarsi nel denunciare solo la guerra nucleare, tralasciando di affrontare la questione degli eserciti e delle armi convenzionali: bisogna che i cristiani si uniscano per denunciare lo strumento “guerra” in tutte le sue forme.
Su che basi la morale cristiana può sostenere che un’arma è più morale di un’altra?
L’era atomica ci ha fatto riflettere non solo sulla mostruosità delle armi nucleari, ma sulla inaccettabilità di ogni guerra, di ogni omicidio preparato e consumato.
L’umanità è alla deriva non solo da dopo Hiroshima. Con la crescita esponenziale della violenza regolarizzata, ci siamo addentrati verso un punto di non ritorno; la vampata del fungo atomico ha soltanto illuminato dall’alto la nostra imbarcazione, rendendo ben visibile l’ampiezza della nostra deriva. Le Chiese tutte devono dare l’allarme, cambiare la rotta e i compiti precedentemente impartiti all’equipaggio, poiché tali indicazioni suicide, in nome della difesa e della sicurezza, non potranno mai avere alcuna legittimazione evangelica. Si deve rigettare, in quanto non conforme al piano di Dio, qualsiasi studio, progettazione, commercio, utilizzo di arma.
È in quest’ambito che la Chiesa deve annunciare che la verità è una porta stretta, dalla quale non entrano i carri armati. Se però la Chiesa rimanda ancora questa conversione alla pace, rinnega il Vangelo del suo Signore e i suoi ministri sono dunque gravemente responsabili, seppur in gradi diversi, oltre che della coscienza dei propri fedeli, della sofferenza di tanti innocenti, e in ultima analisi della salvezza stessa del mondo.