CAMPAGNE

Vizi capitali

Visto l’esito positivo della Campagna di pressione alle Banche Armate, alcune associazioni e riviste hanno esteso l’indagine etica sui comportamenti delle banche ad altri vizi, oltre il finanziamento all’import-export delle armi.
Roberto Cuda (Coordinatore Campagna Vizi Capitali)

Se ci fermassimo all’immagine, quella costruita sapientemente dagli uffici marketing, potremmo annoverare la banche tra le associazioni umanitarie. Ci appare, infatti, un sistema virtuoso, pronto a esporsi sui fronti della fame, delle guerra e delle catastrofi naturali. Poi ci sono i fondi “etici” e i bilanci sociali, che testimoniano l’impegno degli istituti verso la sostenibilità. Iniziative incontestabili, a cui, però, dovrebbe affiancarsi un’informazione altrettanto completa su dove e come investono i nostri soldi. Parliamo, cioè, dell’attività ordinaria delle banche, che consiste grosso modo nel prendere in prestito del denaro per poi impiegarlo nei diversi circuiti dell’economia e della finanza, prestandolo, a sua volta, a privati ed enti pubblici. Su questo, invece, il sistema bancario tace, se escludiamo le informazioni che deve pubblicare per legge. Insomma, difficilmente sapremo se i nostri soldi finiscono nella vendita di armi, in progetti dannosi per l’ambiente o per le comunità locali. Sono i “vizi” a cui le banche difficilmente rinunciano, visto che sono anche i più redditizi. Per conoscerli, tredici organismi tra associazioni, reti e riviste – tra cui Mosaico di Pace – hanno promosso Vizicapitali.org (www.vizicapitali.org), sito di informazione e monitoraggio delle prime dieci banche italiane e di tre aziende “atipiche” (Credito Cooperativo, Banco Posta e la stessa Banca Etica) che punta ad aprire qualche varco nel muro di gomma dell’informazione economica. 

A partire da fonti pubbliche, i promotori hanno raccolto, razionalizzato e reso leggibili informazioni spesso disperse su una pluralità di canali. Armamenti, impatto sociale e ambientale, paradisi fiscali, tutela del risparmiatore, nucleare civile e privatizzazione dei sistemi idrici, sono i “vizi” messi sotto la lente, per dare strumenti di valutazione e porre le premesse di un’azione diffusa e mirata di pressione. L’obiettivo, infatti, è agire, inviando la lettera in facsimile sul sito, ma anche attuando le forme di pressione nonviolenta di cui siamo capaci, coinvolgendo singoli, gruppi, associazioni, chiese ed enti pubblici. Iniziative che potrebbero utilmente intrecciarsi con la Campagna Banche Armate.

Sotto la lente d’ingrandimento

Scorrendo le pagine del sito, emerge un quadro a tinte fosche: a parte qualche rara eccezione, le banche non si fanno scrupoli a finanziare la parte peggiore dell’economia. Emblematico è il sostegno al settore degli armamenti. Molti conoscono i dati pubblicati dalla Relazione governativa sull’export di armi, che nel 2009 ha superato la cifra record di 4 miliardi di euro aggiudicando il primo posto a Ubi Banca, ma forse meno noti sono i rapporti che intercorrono tra le banche e il maggiore produttore nazionale di armi, Finmeccanica, controllato dallo Stato italiano. Le sue armi si vendono ovunque, dalla Turchia a Israele, dagli Usa agli Emirati Arabi Uniti, ma Finmeccanica è presente anche nel settore delle infrastrutture e nella produzione di energia nucleare, attraverso la controllata Ansaldo. Intesa Sanpaolo e UniCredit, insieme a Mediobanca e Goldman Sachs, hanno gestito l’erogazione di prestiti pari a 3,2 miliardi di euro, per l’acquisizione dell’americana Drs (13 maggio 2008), mentre le prime due hanno garantito il collocamento di obbligazioni Finmeccanica per 850 milioni di euro nel 2009. Le obbligazioni sono quote di prestiti che le aziende chiedono ai risparmiatori e agli investitori, in cambio di un interesse: in questo caso le banche si limitano a garantire il collocamento sul mercato, acquistandole direttamente in caso di offerta insufficiente. Nel frattempo Intesa continua a incassare rate dalla Lockheed Martin, attiva nella produzione delle micidiali cluster bombs, alla quale nel 2007 ha prestato 52,2 milioni di euro, con scadenza 2012 (Netwerk Vlandereen, aprile 2010). UniCredit dal canto suo ha fatto operazioni simili nel 2005, attraverso la controllata Hvb, finanziando la Eads e la Thlaes. Scelte che stridono fortemente con le dichiarazioni degli stessi istituti circa la loro volontà di uscire dal settore (Intesa dal luglio 2007 e UniCredit dal gennaio 2001). Eppure le due banche continuano a essere il riferimento creditizio sia di Caritas Italiana che della Conferenza Episcopale Italiana, come ci informa “Adista”, e potrebbe essere utile un lavoro di sensibilizzazione anche all’interno del mondo ecclesiale.

Sul fronte bellico non è da meno Bnl, dal 2006 parte del colosso francese Bnp Paribas. La banca ha partecipato a tutti i collocamenti obbligazionari di Finmeccanica nel 2009, mentre l’anno prima compariva al primo posto tra le cosiddette “Banche Armate”, avendo intermediato esportazioni di materiale bellico per 1,2 miliardi. Una cifra connessa per lo più alla vendita di 55 elicotteri militari Agusta alla Turchia, per oltre 1 miliardo di euro.

Meno conosciuta, invece, è l’esposizione dell’istituto con la Cmc di Ravenna, cooperativa di costruttori aderente a Legacoop, impegnata nella costruzione della nuova base Usa di Vicenza (Dal Molin) e nella contestata linea dell’Alta Velocità Torino Lione. Bnl è la prima finanziatrice dell’azienda ravennate, a favore della quale ha erogato due linee di finanziamento: una nel 2005 con scadenza 2010 per 143mila euro e un’altra nello stesso anno, scadenza 2011, per 32 milioni. Il dato non è irrilevante, poiché il sostegno della banca condiziona fortemente la sostenibilità di un progetto. Perché non declinare la lotta sul Dal Molin anche in una Campagna di pressione sulle banche d’appoggio?

Una strana fotografia

Va detto che nel mondo bancario la dimensione si accompagna spesso a una maggiore propensione al “vizio”, se non altro perché i progetti a maggior impatto richiedono ingenti capitali. Emblematici i casi di Eni ed Enel. Entrambe controllate dallo Stato italiano, le due società sono al centro di contestati progetti in varie parti del mondo, dal Cile all’Africa all’Est Europa (sul sito Vizi Capitali tutti i particolari). Eni, in particolare, ha in cantiere lo sfruttamento delle sabbie bituminose nel Congo Brazzaville, un’operazione destinata a lasciare nel Paese una pesante eredità di devastazioni ambientali. I due colossi sono legati a doppio filo con Intesa e UniCredit, tra i quali intercorrono rapporti finanziari di svariati miliardi. Al 31 marzo 2009 Eni aveva debiti per 7,5 miliardi verso Intesa e per 4,2 verso UniCredit, mentre alla fine dello stesso anno Enel era indebitata con Intesa per 6 miliardi e con UniCredit per 3,5 miliardi. Ma anche Bnp Paribas (Bnl) vanta crediti per 3 miliardi verso Enel, mentre lo scorso aprile la società ha ricevuto capitali freschi per altri 10 miliardi grazie a una maxi linea di credito accesa da 30 banche, tra cui Intesa, UniCredit, Monte dei Paschi, Ubi Banca, Bnl e Banco Popolare.

D’altra parte l’intero sistema bancario – a eccezione di Banca Etica – è intrecciato ai destini di Eni ed Enel. La stessa Cassa Depositi e Prestiti, verso cui confluisce la raccolta proveniente da Libretti di risparmio e Buoni fruttiferi delle Poste, detiene il 17% del capitale di Enel e il 9% di Eni, oltre al 35% di Poste Italiane. Poi ci sono i fondi di investimento, attraverso i quali gli istituti comprano azioni e obbligazioni di società quotate. La nostra ricerca fotografa la situazione al 30 giugno 2009, confermando una diffusa irresponsabilità nelle scelte di investimento. Nestlè, Monsanto, Total e i nomi più blasonati del settore farmaceutico (Novartis, Bayer, GlaxoSmithLine, Pfizer, Johnson & Johnson) sono alcuni dei marchi presi in considerazione, sui quali le banche italiane hanno investito massicciamente. Tra i titoli più gettonati, quelli della francese Total, accusata di fare affari con il feroce regime birmano: i fondi di Ubi Banca ne hanno acquistati per 42 milioni di euro, non lontani da quelli di UniCredit (68 milioni) e Intesa (71 milioni).

 

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