Piccoli scienziati crescono
L’educazione scolastica dovrà puntare sempre più a educare i giovani all’innovazione. Le dinamiche produttive e la complessità sociale richiedono percorsi educativi finalizzati a gestire i labirinti del nuovo con intelligenza creativa. La cultura dell’innovazione è uno specifico atteggiamento psicologico che l’individuo assorbe nei suoi processi di sviluppo e socializzazione. Implica curiosità intellettuale, capacità di “problem solving”, anticonformismo nell’affrontare le questioni, curiosità e gusto nell’esplorare e arricchire le conoscenze. Queste caratteristiche non si formano negli individui se non vivono anche nei loro ambienti di vita, nelle famiglie, nella cultura locale, nei gruppi di aggregazione. Da qui la necessità “di orientare gli strumenti educativi verso la promozione di questo tipo di valori e comportamenti, quando il contesto locale ne sia privo”, afferma Riccardo Viale (riccardo.viale@fondazionerosselli.it ). Ma come educare alla cultura dell’innovazione?
“La tendenza attuale – spiega Viale – è di orientare i programmi scolastici, liceali e universitari, verso i contenuti legati all’innovazione”. Agli adolescenti viene proposta cultura scientifica, tecnologica, economica come se fossero gli strumenti privilegiati per “educare all’innovazione”. Secondo Viale, tuttavia, ciò non è sufficiente. L’intervento deve cominciare dalla scuola primaria. “I bambini nei primi anni di vita – osserva Viale – presentano il potenziale più alto di capacità creativa e di ricerca rispetto alle fasi successive. La loro mente e il loro corpo sono uno strumento d’indagine continua, di creazione di ipotesi sulla base dell’evidenza e della fantasia e di controllo e cambiamento concettuale alla luce di nuovi dati. La mente è libera di indagare e di sondare innumerevoli possibilità di interpretare il mondo. I bambini sono dei veri e propri laboratori di ricerca viventi. Dopo i primi anni però diminuisce progressivamente l’effervescenza creativa e prende piede una tendenza a sistematizzare e sviluppare le proprie ipotesi sul mondo”. Viene, cioè, a formarsi quella tendenza conformistico-opportunistica che fa rinunciare ad andare controcorrente e a cercare soluzioni innovative, “fuori dal coro”. Le idee rischiano di cristallizzarsi e tende a prevalere un bisogno di conformismo dettato anche dalle regole del “gruppo dei pari” e del contesto sociale di riferimento. Il bambino, diventando ragazzo, perde quell’apertura e permeabilità mentale che contraddistingue le prime fasi di sviluppo. L’educazione all’innovazione ha fra i suoi scopi quello di combattere le abitudini mentali. Lungo un percorso di ricerca chi ha la testa libera dalle barriere è avvantaggiato.
“È un errore – afferma Viale – pensare di poter influire sulla propensione all’attività creativa e innovativa con programmi didattici che inizino a livello adolescenziale. È corretto, invece, concentrarsi su fasi di sviluppo precedenti cercando di alimentare e mantenere vivo nel tempo la dimensione di child as a little scientist (bambino come piccolo scienziato)”. L’educazione all’innovazione dovrebbe avere non solo una “finalità contenutistica” (cosa conoscere) ma soprattutto “procedurale” (come conoscere), stimolando le capacità di esplorazione della conoscenza e di problem solving creativo e originale. Questo approccio all’innovazione sarà centrale nella scuola del futuro ed è auspicato anche da Confindustria perché senza capacità creativa si perde la competizione internazionale. Ma è importante portare nella scuola la cultura dell’innovazione per ripensare la cittadinanza attiva in un’epoca in cui la complessità delle scelte sembrano scoraggiare la partecipazione democratica.
Occorre mappare la complessità attraverso la cooperazione e l’apprendimento cooperativo (“cooperative learning”), un po’ come fa la comunità Linux. Diceva Calvino che occorre oggi un’attitudine che è “necessaria per affrontare la complessità del reale, rifiutando tutte le visioni semplicistiche”. E aggiungeva: “Quello di cui abbiamo bisogno è la mappa del labirinto, la più particolareggiata possibile”. Se il mondo è oggi un labirinto da mappare in tutta la sua complessità, l’educazione all’innovazione deve diventare tutt’uno con l’educazione alla creatività per imparare a “uscire dai labirinti”.