PRATICHE DI PACE

Tra bulli e bulletti

Una proposta per far emergere, nelle classi scolastiche, fenomeni di violenza tra coetanei e per provare a liberare le relazioni.
Pio Castagna

Anche nel mondo giovanile, si osservano, a tutti i livelli, tassi di violenza sempre più marcati. Sembra che lo spirito di concorrenza, di rivalità e di sopraffazione, prevalgano sul quello di cooperazione e di collaborazione. Facilmente si assiste al prevalere delle ragioni dell’uno a scapito di quelle dell’altro, che possono comportare escalation di violenza o di inibizione, secondo la soggettività di chi subisce. In un caso o nell’altro ci si può ritrovare a vivere un clima pesante, con inevitabili ricadute negative sul piano della relazione educativa e dell’apprendimento.

In questi casi, come agire? Cosa proporre? Come muoversi? 

È necessaria una premessa. Il cosiddetto bullo è condizionato da più fattori ambientali e culturali, prevalentemente legati alla famiglia ove vive rapporti di emarginazione, di prepotenza o di svalutazione, in ogni caso affettivamente poco rassicuranti. Il bullo è tale, cioè, perché reagisce al contesto in cui vive, che lo porta, soprattutto, a dimostrare a se stesso e agli altri quanto vale. 

Ipotizzo una proposta concreta di possibile attività educativa, immaginando di essere l’insegnante di una classe di scuola media o un educatore di un’attività extrascolastica oppure, ancora, referente esterno in contesti giovanili.

L’attività proposta consta di tre fasi.

Prima fase: per ragazzi non abituati ad attività ludiche, è opportuno iniziare con il sedersi insieme a loro in cerchio, per avviare un’informale conversazione di reciproca conoscenza. Lo stile di conduzione sarà di tipo maieutico e relazionale. Questa fase può durare finché l’educatore non abbia la percezione di essersi guadagnato la fiducia degli allievi. 

Seconda fase: proposta di attività che considero di fluidificazione energetica. Il corpo è un mezzo con cui scaricare emozioni di tipo compressivo o liberante, valide sia per bulli che per vittime. L’attività consiste nel muoversi nello spazio a disposizione, esplorando nel corpo movimenti, gesti, posture, sensazioni, pensieri, nella veste di potente (senza citare la parola “bullo”) e poi dell’accondiscendente (anche qui senza citare la parola “vittima”). Si sperimentano così la relatività dell’essere bullo e, soprattutto, ci si mette nei panni della vittima.

Terza fase: attività con giochi esplorativi di vissuti, che metta in campo la fiducia, l’autostima e faccia sperimentare attività cooperative. Per coloro che hanno comportamenti aggressivi, è interessante rivelare quanto si abbia necessità dell’altro, per poter raggiungere un determinato scopo.

Qualora il tempo e le circostanze lo consentano, ci può essere una quarta fase di tipo teatrale, con un lavoro prettamente attoriale. Lo scopo è quello di far sperimentare ai ragazzi le emozioni legate all’agio e al disagio che ogni ruolo può comportare, sia in teatro che nella vita, e far comprendere loro quanto un inconsapevole comportamento assunto può provocare disagio o sofferenza nell’altro. 

In ogni fase, è opportuno un momento di verifica, da cui emergano vissuti, scoperte, difficoltà e resistenze avvertiti durante lo svolgimento delle attività. Una singola fase, inoltre, può comprendere uno o più incontri. 

È solo una proposta, quella descritta, che non ha la pretesa di essere esaustiva nel merito, né di essere l’unica possibilità di intervento sull’argomento. È solo un’occasione per trarre spunti di riflessione e di confronto su proposte possibili di educazione alla pace.

 

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