Della legittima difesa
Un ribaltamento di visione e di pensiero che ci riporta all’amore per la vita universale.
Quella altrui, prima che la nostra.
La Chiesa pare voler affermare sopra ogni cosa il diritto alla vita. Ma è davvero così?
Secondo l’ottica orientale, il concetto di vita è tale solo se è accompagnato dal rispetto di quella altrui, dalla volontà di non annientare mai l’esistenza degli altri. La Chiesa, in quanto istituzione, pare, invece, voler soprattutto difendere la sua propria esistenza, sopra ogni cosa.
Questo travisamento del messaggio di Gesù, l’ha portata a sacralizzare, innanzitutto, il diritto di legittima difesa, anche se questo comportava la morte dei supposti nemici della fede.
Il concetto di legittima difesa così inteso, è ora considerato “sacro” da tutta la società, sia nella sua componente laica che in quella credente.
Il significato religioso più profondo di sacralità della vita (che il diritto di legittima difesa presuppone e che noi occidentali sentiamo d’istinto rivolto alla difesa della nostra propria vita) sarebbe più da considerare in rapporto all’esistenza: è l’umanità che dovrebbe essere nel nostro orizzonte di preoccupazione, non noi stessi.
Prima della nostra, è la vita degli altri che dobbiamo sacralizzare.
È un ribaltamento di pensiero che rappresenta una vera rivoluzione, perché è un rovesciamento delle priorità: “Chi cercherà di salvare la propria vita la perderà, chi invece la perde la salverà” (Lc 17,33).
Il senso vero della sacralità della vita è, dunque, la responsabilità per gli altri; fino alle estreme conseguenze, come Gesù ci insegna quando dona la sua vita per amore anche dei suoi nemici. È strano che nell’ultimo catechismo della Chiesa cattolica, al n. 2264, si ricordi invece un altro tipo di priorità, citando le parole di San Tommaso: “Non è necessario per la salvezza dell’anima che uno rinunzi alla legittima difesa per evitare l’uccisione di altri: poiché un uomo è tenuto di più a provvedere alla propria vita che alla vita altrui” (San Tommaso d’Aquino, Summa theologiae, II-II, 64, 7)
La Chiesa ha dimenticato che il cuore di tutto il messaggio cristiano è la pace, che in parole concrete significa “amore al nemico”, “dare la propria vita”, “prendere la propria croce, per amore, e vincere così la morte”.
C’è forse nel cristianesimo qualcosa di più essenziale? E, anche, di più dimenticato, o forse sottovalutato?
Difesa armata o nonviolenta?
Benché guerra e pace non siano certo questioni secondarie nell’annuncio cristiano, esiste l’assurda situazione per cui, sul tema della guerra (e sul perseguimento della pace), nella sfera cristiana la diversità di pensiero è considerata normale: alcuni possono pensare in un modo, altri nel modo opposto. Alcuni sarebbero disposti a subirla, la violenza, pur di non metterla in atto, altri sostengono che l’intervento militare (con tutte le sue ineliminabili atrocità) sia una via percorribile, a volte necessaria, per conseguire o ristabilire la pace. Alcuni possono affermare la radicale incompatibilità tra guerra e cristianesimo, altri ne possono sostenere la connaturalità, in determinate situazioni e a certe condizioni. La posizione più universalmente condivisa fa appello al principio della legittima difesa. Ma il pensiero cristiano, per aver accolto questo principio all’interno del proprio edificio dottrinale, si è ritrovato in una strettoia senza uscita, che lo conduce a una situazione di smarrimento e allontanamento dal Vangelo molto più grave in quanto più ‘sottile’ delle posizioni grossolane e contestabili (e ormai minoritarie) di chi appoggia apertamente lo strumento della guerra.
Il principio della legittima difesa è universalmente riconosciuto, nel senso che da tutti è ritenuto ovvio, indiscutibile, acquisito. La guerra è, dai più, condannata; ma quando subentra il principio di legittima difesa, essa diventa possibile, poiché ha cambiato nome. La legittima difesa diventa lo spazio sacro e inviolabile dentro il quale persino una guerra, opportunamente travestita, trova diritto di asilo.
I cristiani non rinunciano alla difesa; sull’esempio di Gesù, reagiscono all’ingiustizia e all’aggressione, ma, come lui, rinunciano al tipo di difesa violento. Invece, questo, nel mondo cosiddetto “cristiano” non avviene, né sul piano teorico, né su quello pratico; né sul piano personale, né su quello collettivo. Tanto è vero che, in quanto cittadini di uno Stato, sosteniamo una difesa armata, e non sappiamo neanche immaginarci una difesa di tipo nonviolento.
Il Dio dell’amore
Le questioni importanti della legittima difesa, che ai cristiani sfuggono, sono sostanzialmente due:
- la necessità di distinguere tra quella che potremmo definire una normale, accidentale legittima difesa personale dalla legittima difesa armata degli Stati. A parte la differente forza distruttiva in ordine qualitativo e quantitativo, l’elemento che caratterizza la prima è l’occasionalità, l’imprevedibilità, mentre la difesa armata militare è caratterizzata dalla preparazione, dall’organizzazione, dall’addestramento, dall’azione preventiva, dai costosi investimenti.
- la scorrettezza di argomentare a favore del diritto di legittima difesa (e intendo sempre di tipo armato, nda) senza preoccuparsi di ricercare il confronto col messaggio evangelico di Gesù Cristo. Perché?
Invocare l’amore verso se stessi come principio fondamentale della legittima difesa (come ad esempio fa il Catechismo della Chiesa cattolica, n.2264) resta un riferimento parziale, che manca dell’altro elemento che, nelle parole di Gesù, è imprescindibile e compresente: l’amore verso il prossimo (es. Mt 19,19; Lc 10,27).
Se dalle parole di Gesù non posso dedurre che la mia vita valga di più di quella del fratello, non posso poggiare il mio diritto di legittima difesa sul diritto alla vita “mia”; non c’è una vita che valga meno di un’altra, anche se fosse malvagia. È un principio, questo, che non si digerisce facilmente, ma si tratta del pensiero di Dio che così ci è stato rivelato (e che resta imperscrutabile, nella sua verità ultima). Nella logica divina neppure la legittima difesa (e intendo sempre quella che si avvale della forza militare) è tale nel caso di difesa dell’altro innocente, ingiustamente aggredito dal malvagio. Dio non è che non voglia proteggere e salvare il giusto e l’innocente, ma lo fa in modo diverso da come noi spontaneamente sentiamo giusto fare, anche ricorrendo alla violenza. Con questo non intendo giudicare chi si trovasse costretto ad agire violentemente per difendere, ad esempio, il figlioletto aggredito: anch’io, che disquisisco e teorizzo di nonviolenza, potrei molto facilmente agire allo stesso modo. La dottrina dovrebbe al massimo prevedere l’eventualità, seppur recondita, di un ricorso alla violenza che non sia organizzato, ma assolutamente accidentale, lasciando soltanto alla propria coscienza, e infine a Dio, il diritto di giudicare.
In conclusione: nonostante sia un’idea universalmente condivisa e pacificamente accettata, non si trovano ragioni teologiche che giustifichino il ricorso dei singoli e delle comunità alla legittima difesa, intesa come noi universalmente la intendiamo, ossia preparata e atta a provocare il ferimento o la morte dell’aggressore per salvare la propria vita o quella di altri innocenti minacciati.
Anzi, la vicenda cristiana ci dice l’esatto contrario. Ciò che oggi accade nella nostra grande comunità che chiamiamo Chiesa, in ordine alla legittimità del ricorso alla violenza, accadde anche nel gruppo degli apostoli: tra loro c’era chi pretendeva di imporsi, o di difendersi, utilizzando le armi, e sicuramente chi, invece, non era d’accordo. Ma tale pluralismo-relativismo di principi, venne, secondo i Vangeli, risolto e accettato come avviene oggi nel mondo cristiano? Dobbiamo rispondere di no, perché Gesù non lasciò la libertà di agire secondo gli impulsi bellicosi dei suoi. Disse il suo no, disarmando prima il discepolo violento (Quello che sguaina la spada al momento dell’arresto - Lc 22, 49-50; Mc 14,47; Mt 26, 51, nda) e affrontando poi, disarmato, la sua violenta e ingiusta aggressione.
La sfida coraggiosa e l’accettazione della croce resta per sempre la risposta credente ai dubbi sulla legittima difesa; e soprattutto resta questo l’annuncio che, in quanto battezzati, abbiamo il mandato di diffondere nel mondo: “Non uccidere”.
Le costruzioni teoriche umane, invece, non possiamo spacciarle come dottrina.