CHIAVE D’ACCESSO

Pacifisti dimenticati

Nel rileggere le storie dei tanti pacifisti costretti alla detenzione, nasce la voglia di mettersi in rete per la loro liberazione.
Alessandro Marescotti (a.marescotti@peacelink.it)

Rafil Dhafir negli Stati Uniti è stato condannato a 22 anni di detenzione “per condanne risultanti dall’aver fornito aiuto umanitario e finanziario a iracheni in violazione delle sanzioni Usa”. Vengono i brividi a sapere che dovrà rimanere in carcere fino al 2022. 

Il suo nome è nell’elenco dei pacifisti dietro le sbarre, pubblicato dal sito di War Resister International (www.wri-irg.org). Il testo è in inglese.

Louie Vitale è un francescano, attivista per la pace, già impegnato contro i test nucleari nel Nevada. Ha servito da superiore provinciale dei francescani della California da 1979 a 1988. Si è laureato in sociologia nell’Università di Los Angeles. Louie è impegnato nel denunciare il coinvolgimento degli USA in azioni di tortura. È stato arrestato negli Stati Uniti. Il suo nome spunta su www.nukeresister.org e il testo, ancora una volta, è solo in inglese. 

Helen Woodson è ancora in carcere negli Stati Uniti per azioni dimostrative contro le armi nucleari. Ha gettato una miscela di vernice rossa e succo di mirtillo, che assomigliava a sangue, su una scrivania e su alcuni dispositivi di sicurezza. La sua storia appare su www.jonahhouse.org che è un sito nonviolento: il testo è in inglese.

Padre Carl Kabat dal 6 agosto 2009 è in carcere negli Stati Uniti. Ha 75 anni, è un prete cattolico. Ha passato più della metà degli ultimi 30 anni della sua vita dietro le sbarre per azioni dimostrative. L’ultima, ad agosto del 2009, in una cittadina vicino Denver: ha tagliato il filo spinato che protegge il sito di un missile nucleare, ha appeso uno striscione contro la guerra e ha recitato una preghiera. Segue alla lettera le parole di San Paolo: “Siamo pazzi per amore di Cristo”. Ebbene… entra ed esce da dalle prigioni d’America. Senza che l’opinione pubblica “pacifista” italiana ne sappia granché. E senza informazione non c’è indignazione e tantomeno mobilitazione.

La sua storia è su qualche sito web “sparpagliato”, ma è assente dai siti pacifisti che fanno o potrebbero fare campagne d’opinione.

Da questi esempi emerge un problema di condivisione su internet delle storie dei pacifisti e degli obiettori di coscienza in carcere. Magari i loro nomi saranno apparsi su qualche rivista, nell’articolo di un giornalista particolarmente attento. Ma rimangono informazioni smarrite chissà dove e invisibili a motori di ricerca come Google. 

Perché accade questo? Manca in Italia una rete organizzata per liberare i pacifisti in carcere. Una rete che traduca le informazioni in italiano e faccia pressione sui governi che incarcerano i pacifisti e gli obiettori di coscienza. Non possiamo accontentarci di ciò che – in modo altamente meritorio – fa Amnesty International. Occorrono anche Campagne mirate che partano dalle associazioni pacifiste e dalla loro specificità. E soprattutto devono emergere nel web le storie di queste persone, tradotte in italiano, con le foto, gli appelli per la liberazione, gli indirizzi a cui scrivere.

Una Campagna sistematica per liberare gli obiettori in carcere un tempo era svolta da pacifisti di buona volontà che traducevano gli appelli di War Resister International e li mettevano su Azione Nonviolenta. Va ripresa questa buona abitudine e dobbiamo collaborare perché ritorni a vivere fra noi il senso della solidarietà con i pacifisti in carcere. Oggi abbandonati e dimenticati.

 

Ultimo numero

Rigenerare l'abitare
MARZO 2020

Rigenerare l'abitare

Dal Mediterraneo, luogo di incontro
tra Chiese e paesi perché
il nostro mare sia un cortile di pace,
all'Economia, focus di un dossier,
realizzato in collaborazione
con la Fondazione finanza etica.
Mosaico di paceMosaico di paceMosaico di pace

articoli correlati

    Realizzato da Off.ed comunicazione con PhPeace 2.7.15