Yesh Gvul
Esempi di disobbedienza civile: se di mezzo c’è un’occupazione illegittima di territori altrui, ci rifiutiamo di collaborare.
Si potrebbe affermare che “il rifiuto selettivo” rappresenta il contributo più originale da parte del movimento per la pace in Israele nei confronti delle molteplici proteste antimilitariste, considerando la sua applicazione dei principi della disobbedienza civile (di Gandhi e Martin Luter King) al contesto meno probabile di tutti: quello dell’esercito.
A differenza di una rivoluzione, che mette in dubbio l’insieme dello status in ogni suo aspetto, la disobbedienza civile si focalizza su una specifica ingiustizia o abuso, prendendo di mira una singola legge o regolamento e partendo da questa per praticare un rifiuto più ampio e sistematico (nel sud degli Stati Uniti, il bersaglio era il trasporto pubblico, esempio di discriminazione razziale; Gandhi, invece, scelse di ribellarsi contro le autorità coloniali della Gran Bretagna e il loro divieto riguardo alla produzione “non-autorizzata” del sale). In modo simile, il movimento di rifiuto – parte essenziale dell’opposizione in Israele – si è focalizzato sulla Israeli Defence Force (IDF, ndr) e sul suo ruolo chiave nell’occupazione dei territori palestinesi o nell’invasione del Libano. Nella scelta di sfidare la legge che richiede ai soldati il servizio militare secondo gli ordini, i refusnik dell’IDF, anziché impegnarsi in un ammutinamento totale, si aggiudicano da sé pari importanza dei generali e dei politici nella selezione del luogo e delle operazioni da eseguire e si attribuiscono la facoltà di scegliere, secondo la propria coscienza, a quale ordine obbedire o disobbedire.
Migliaia di giovani americani protestarono contro la guerra – e durante la guerra – in Vietnam con il grido: “Al diavolo, non ci andremo!” e diedero fuoco alle “cartoline” con cui era chiamati in servizio.
In altre nazioni, in cui imperversava una guerra talmente impopolare, l’opposizione ha assunto la forma del rifiuto totale di indossare la divisa.
In Israele, ci sono esempi di giovani pacifisti che rifiutano qualsiasi forma di servizio militare, anche se, in questo Paese, l’obiezione di coscienza non è mai decollata con la forza di un vero e proprio movimento. Le circostanze politiche e religiose, rafforzate da ricordi storici dolorosi e un ethos nazionale potente, hanno apparentemente escluso la possibilità del rifiuto totale. I territori occupati palestinesi non sono l’Algeria, e il Libano non è il Vietnam. Era necessaria una strategia diversa.
Nessuno, però, si è mai cimentato nel formulare una teoria o una filosofia di protesta che rispondesse alle specifiche condizioni israeliane. Il rifiuto selettivo nasce dalla complessità dei parametri militari e politici creati dalla guerra del 1967. Un’intera generazione di soldati, cresciuti con la leggenda della Israel Defence Force , hanno scoperto che i doveri difensivi pressoché legittimi che, fino ad allora, avevano adempiuto, erano stati sostituiti da un compito di controllo del territorio, in qualità di poliziotti di una popolazione palestinese assoggettata.
Quel brusco cambiamento rappresentò un forte sconvolgimento per una gran fetta dei riservisti della IDF. Il movimento, piccolo ma visibile, che già protestava contro l’occupazione, contava tra i suoi aderenti molti uomini in età di servizio militare annuale, che spesso si trovavano nei territori occupati. In tal modo, molti attivisti di sinistra si ritrovavano a riflettere sulla difficile situazione della leva perché, nell’ultimo mese di servizio militare, era loro imposto di contribuire all’occupazione!
Nacque, così, un più esteso movimento di giovani che si ribellavano contro il servizio in un esercito d’occupazione. Data la complessità della situazione storica e politica, restavano in pochi, però, a rifiutare categoricamente tutte le forme di servizio militare. Una linea netta è stata inevitabilmente tracciata tra i doveri “legittimi” che sorgevano dal ruolo potenzialmente o realmente difensivo della IDF, e i compiti “inaccettabili” nei territori occupati.
Nel mese di dicembre del 1972, i riservisti della IDF Yossi Kotten e Yitzchak Laor sconvolsero il pubblico israeliano con il loro rifiuto di prestare servizio nei territori occupati, pur confermando la propria disponibilità a svolgere altri compiti legittimi. Nacque così il rifiuto “selettivo”.
I refusnik hanno attirato grande interesse in tutto il mondo. Anche se spesso l’interesse dell’opinione pubblica non era proprio nel motivo specifico dell’opposizione a uno specifico ordine, il movimento di rifiuto in Israele ha certamente offerto al movimento per la pace mondiale un notevole apporto in termini di protesta antimilitarista. Non si può lasciare un esercito ai capricci dell’establishment politico perché diviene, così, uno strumento letale, pericoloso.
Questa forma di protesta si è dimostrata la più incisiva. Mentre coloro che rifiutano tout court di arruolarsi lasciano aperta l’accusa di voler evitare le proprie responsabilità o di non contribuire alla “difesa nazionale”, i refusnik erano soldati con anni di esperienza – con il passaggio del tempo, i loro aderenti arrivarono a includere molti che, fino a quel momento, si erano impegnati in reparti di combattimento in prima linea.
Sia durante la guerra in Libano che successivamente, Yesh Gvul ha assunto un profilo morale e politico notevole tra il pubblico, anche perché spesso, nelle raccolte di firme, risultavano capitani e maggiori con anni di lodevole servizio.
Oltre alla loro influenza nell’opinione pubblica in generale, i refusnik hanno un ascendente diretto nei reparti militari a cui appartengono. Il rifiuto di pochi soldati, anche di uno solo, ha un effetto considerevole tra i commilitoni, obbligandoli a interrogarsi e a mettere in dubbio la legittimità del servizio che svolgono.
La credibilità di questa forma di protesta, poi, era data anche dal fatto che il rifiuto degli ordini era “aperto”, senza tentativi di nascondersi, andando in tal modo incontro alla possibilità di azioni disciplinari da parte delle autorità militari. Allora come oggi, esistono innumerevoli modi per evitare il servizio militare e migliaia di israeliani praticano un “rifiuto grigio”, con certificati medici fasulli o altri stratagemmi. I refusnik, invece, rifiutano la situazione di comodo di tali sistemi e trucchi e dichiarano il proprio rifiuto senza remore né censure.
Nell’accettare la punizione dell’autorità legale come conseguenza per la loro sfida, i refusnik hanno dimostrato la forza delle loro convinzioni. In contrasto aperto alla sindrome “sparare e piangere” di coloro che protestavano contro la Campagna militare in Libano o l’occupazione dei territori palestinesi – situazioni in cui il soldato eseguiva comunque, suo malgrado, i propri doveri militari senza protestare – i refusnik hanno dimostrato che la loro opposizione non era solo verbale. La volontà di pagare il prezzo delle loro convinzioni morali e politiche ha permesso ai refusnik un grande impatto politico che andava al li là della loro forza numerica.