Balabiot o Balairat?

Alcune considerazione dell’Ufficio della Pastorale Sociale e del Lavoro della diocesi di Novara a margine della campagna xenofoba elvetica contro i frontalieri italiani.
13 ottobre 2010 - Don Mario Bandera (Direttore PSL Novara )
Fonte: L'Azione di Novara del 9 ottobre 2010

Per quanto urticante la notizia è passata quasi sotto silenzio nei nostri TG e tra i paludati giornali nostrani, quasi si volesse mettere la sordina su un fatto che chi vive nelle zone di confine con la Svizzera, ha avvertito come infamante per il buon nome e l’onore degli italiani.
Ci riferiamo alla campagna contro i lavoratori stranieri realizzata in queste settimane tramite vistosi cartelloni stradali collocati nei centri abitati della Svizzera, ove sono raffigurati tre topi attorno ad una forma di formaggio emmental. Nella fattispecie i simpatici roditori raffigurano: un piastrellista di Verbania che lavora in Svizzera, un rumeno con la mascherina sugli occhi, quindi qualificato come ladro, e infine un certo Giulio, avvocato, con al braccio uno scudo in cui s’intravedono tre monti, chiaro riferimento al Ministro delle finanze italiano. Con un linguaggio molto crudo questi cartelloni ricordano ai cittadini svizzeri la necessità di una “derattizzazione” in quanto la società elvetica percepisce questi “ratti stranieri” come dei pericolosi concorrenti, utili quando ne ha bisogno e da demonizzare ed espellere quando non intende più avvalersi dei loro servizi.
Il fatto già di per se grave, si presta a due considerazioni importanti: il primo riguarda il mondo del lavoro, il secondo la conclamata allergia verso gli stranieri, imperante nelle valli elvetiche. Partiamo dal primo punto: i frontalieri che dalle province di Verbania, Varese e Como che ogni giorno o settimanalmente passano il confine per andare a lavorare in Svizzera, sono un numero considerevole, i cartelli incriminati indicano 45 mila i lavoratori da cui bisogna “derattizzarsi”. Il secondo punto invece è più inquietante, nel senso che mette in risalto come periodicamente la neutrale Svizzera promuove campagne xenofobe per rimandare a casa loro i lavoratori stranieri, basti ricordare i referendum degli ultimi anni avviati dal deputato Schwarzenbach (nel primo quasi sfiorò la vittoria).
Questo nefasto atteggiamento trova compiacente ospitalità in larghi settori dell’opinione pubblica svizzera. L’avversione a chi elvetico non è rimonta ai tempi in cui si costruiva il tunnel del San Gottardo: difatti, nel 1875, squadracce armate spararono sugli operai italiani (uccidendone alcuni) che manifestavano per la morte dei loro compagni caduti sotto i crolli della galleria.
Oggi l’orgogliosa e sonnolente Svizzera sperimenta anch’essa gli effetti della crisi finanziaria che essendo globale tocca anche uno dei paesi più “blindati” Europa. L’aver riportato in Italia tramite lo scudo fiscale ingenti quantità di denaro che furbi cittadini italiani avevano collocato nelle banche svizzere per evitare il fisco italiano, ha reso più incerta la reputazione della Confederazione Elvetica sul fronte finanziario e più debole il loro sistema bancario, da qui l’astio nei confronti del Ministro Tremonti.
Inoltre, la liberalizzazione degli spostamenti dei lavoratori nell’Europa comunitaria, ha fatto si che nuovi immigrati provenienti dall’Est Europa accettassero condizioni inique di lavoro pur di racimolare qualche soldo da mandare alle proprie famiglie; non a caso il “sorcio rumeno” è raffigurato con una canottiera azzurra con le dodici stelle della Comunità Europea. Ma la considerazione più amara che resta da fare è quella di costatare come si ricerca sempre un “terrone” più “terrone“ di te su cui scaricare le proprie paure e le proprie insicurezze.
Inutile nasconderlo, da sempre gli Svizzeri hanno guardato i lavoratori italiani dall’alto in basso, chi non ricorda la splendida interpretazione di Nino Manfredi in “Pane e cioccolata” in cui rappresentava le umiliazioni che i lavoratori italiani subivano in terra elvetica; allo stesso tempo si può dire che i ticinesi vivono una specie di soggezione nei confronti degli svizzeri tedeschi a loro volta soggiogati dalla “supremazia teutonica” della Germania che geograficamente sta sopra le loro teste. Questo atteggiamento nasce e si rafforza in un contesto ipocrita e perbenista dove si accettano braccia per lavorare, ma non si accolgono cuori e menti capaci di amare e pensare, tutto ciò succede al di qua e al di là delle Alpi.
Se da noi le campagne xenofobe sono contro gli extracomunitari che arrivano dall’Africa e dal Medio Oriente, nei Cantoni della Confederazione lo stesso preciso, identico atteggiamento xenofobo, si scarica sui nostri connazionali! Nella struggente canzone di fine ottocento “Addio Lugano bella” gli anarchici di tutta Europa che avevano trovato rifugio politico nella patria di Guglielmo Tell, ricordavano attraverso il canto la necessità di lottare per costruire un mondo più giusto, l’aver dimenticato quegli ideali e annacquato le radici cristiane dal cuore della gente ha portato inevitabilmente ad una concezione più individualista e per certi versi più razzista della società. Speriamo almeno che questa “gaffe elvetica” sia l’occasione per promuovere nella parte sana della nostra gente una concezione più tollerante per l’accoglienza dei frontalieri in Svizzera e per i lavoratori stranieri in Italia.

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