Lo spirito di Leone
Riportano i giornali dell’epoca che, al momento dei funerali di Leone Tolstoj la voce di uno sconosciuto gridò: “Il grande Leone è morto. Viva il grande spirito di Leone. Possano realizzarsi i suoi principi sul cristianesimo e sull’amore”.
Oggi si sta ampiamente celebrando il centenario della morte di Leone Tolstoj (che morì ad Astapovo nel novembre del 1910).
Eppure poco si parla ancora della seconda parte della sua vita e della sua opera filosofico-religiosa.
Alle soglie dei 50 anni, il famoso autore di “Guerra e pace” e “Anna Karenina”, ricco, celebre, amato, ebbe una gravissima crisi spirituale e giunse alle soglie del suicidio. La salvezza gli venne dalla rilettura del Vangelo sine glossa e dalla ritrovata fede in Dio. Scrisse: “E allora, cosa sto cercando – gridò a un tratto una voce dentro di me: eccolo dunque Dio. Egli è colui senza il quale non si può vivere” (La confessione).
Passò il resto della sua vita cercando di far conoscere alla gente quella verità che lo aveva salvato.
Nella sua rilettura del Vangelo, la chiave di tutto gli apparve il precetto dell’amore per i nemici e della non resistenza al male. Gandhi dichiarò di essere stato convertito alla nonviolenza, nel 1894, quando era in Sudafrica, proprio dalla lettura di un’opera fondamentale di Tolstoj : “Il regno di Dio è dentro di voi”.
Il Vangelo resterà il testo fondamentale nella sua ricerca filosofico-religiosa. Egli affermerà: “Quando mi domandano in che consiste la mia dottrina, io rispondo che non ho alcuna dottrina mia, ma intendo la dottrina cristiana appunto come è stata esposta nei Vangeli” (Come leggere il Vangelo).
Si tratta, però, pur sempre di una lettura molto personale. Il suo primo lavoro, dopo la conversione, sarà una rilettura nell’originale greco dei quattro Vangeli e relativa traduzione. Da essi, però, elimina i miracoli e ogni fenomeno soprannaturale, perché gli interessava soprattutto il messaggio etico.
Per lui, si deve passare da una religione della morte, preoccupata soprattutto del destino dell’anima, a una religione della vita, preoccupata di realizzare il Regno di Dio qui in terra. Contemporaneamente, però, a un mondo che sembra aver rimosso ogni riflessione sulla morte, Tolstoj parla spesso della morte, ne cerca i significati più consolanti.
Tolstoj trovò poi nei maestri orientali la conferma delle verità evangeliche, ne tradusse e diffuse le opere in Russia.
Gli autori orientali più amati e citati da Tolstoj sono Buddha, Lao Tze, Confucio, Mencio, Maometto.
In un’importante breve lettera che contiene il suo pensiero conclusivo sulla religione, Tolstoj scrisse: “La spiegazione razionale della vita ciascuno può trovarla nella propria fede. Questa spiegazione è la stessa in tutte le religioni. Essa consiste in ciò: l’uomo è il servo della potenza superiore, che si chiama Dio e deve esaudire la volontà di questa potenza; la volontà di questa potenza è l’unità di tutti gli uomini, che può essere raggiunta per tramite dell’amore” (Lettera a un giapponese, 1905).
Nel corso della sua ricerca, però, si trovò a criticare le Chiese istituzionali. Le accusò di ritualismo, dogmatismo, collusione coi poteri politici. La polemica scoppiò furiosa e Tolstoj fu scomunicato nel 1901 dal Santo Sinodo di Mosca.
Negli ultimi anni, questo furore polemico andò attenuandosi, e scrisse: “Esito a mandare molti dei miei libri ricordando i sentimenti cattivi, le condanne brutali che vi sono espresse… Ci dovrebbe essere l’umile affettuosa ragionevolezza della persuasione. Eppure questo non è in me. Mi sento in colpa” (Lettera a Čertkòv del 1 luglio 1904). E anche: “Mi sono accorto che spesso ho avuto torto a calcare la mano, con troppa poca prudenza, contro la fede altrui” (Diari 7-8 marzo 1910).
Per le sue accuse contro le Chiese e contro lo Stato, i suoi libri in Russia vennero proibiti. Spesso furono stampati all’estero e poi, in epoca attuale, quasi dimenticati, e Tolstoj considerato soltanto un grande romanziere. E pensare che egli considerava “sciocchezze” (Diari 6.12.1908) i suoi romanzi; e scrisse a un suo amico: “Scrivevo dei librucoli sulle inezie e tutti i miei librucoli vennero esaltati e pubblicati, ma appena mi venne il desiderio di servire Dio, i miei libri vengono vietati e bruciati” (Lettera a Bondarev, 1.3.1886).
Il senso vero della vita
Tolstoi era consapevole di avere una missione. “I miei pensieri, i miei scritti sono solo passati attraverso di me, e ciò che in essi vi è di cattivo è mio; ciò che vi è di buono, non è mio, ma di Dio” (Lettera a E. V. Molostova, 15 giugno 1904).
Nei suoi scritti, Tolstoj voleva avvertirci che guerre, sciagure e dissolvimento attendevano la civiltà occidentale, se non fosse tornata a praticare il Vangelo autentico, “perché – scriveva – la sorgente di tutti i malintesi consiste nell’opinione che il cristianesimo sia una dottrina, che si può accettare senza cambiar vita”.
Scrisse Tolstoj, “Se ti accorgi di non avere fede, sappi che ti trovi nella più pericolosa situazione nella quale può trovarsi un uomo sulla terra… Le persone possono vivere e vivono quella vita ragionevole e concorde loro propria, allorquando sono unite dallo stesso modo di comprendere la vita… La causa della disastrosa situazione dei popoli cristiani è l’assenza in essi di una spiegazione del significato della vita che sia comune a tutti loro, l’assenza della fede e delle regole di condotta da essa derivanti. Il mezzo per salvarsi dalla presente disastrosa situazione consiste in ciò: la gente del mondo cristiano deve far sua quella concezione della vita che le è stata rivelata diciannove secoli fa… e deve applicare le regole di condotta contenute nella dottrina cristiana autentica” (La legge della violenza e la legge dell’amore, cap. I).
La salvezza è dunque possibile: “Il cristianesimo travisato e il potere di pochi e la schiavitù di molti verranno sostituiti da un cristianesimo autentico e dal riconoscimento dell’uguaglianza di tutti quanti gli uomini” (La fine del secolo, Capitolo primo).
E ancora : “Noi ci troviamo alle soglie di una vita nuova e completamente gioiosa; accedere ad essa dipende unicamente da ciò: liberarsi dalla tormentosa superstizione che sia necessaria la violenza nella vita di relazione e accettare l’eterno principio dell’amore” (La rivoluzione inevitabile, Capitolo XII).
Ci sembra piena di profetica speranza la conclusione del saggio sulla religione, là dove né gli intellettuali né le classi al potere sapranno, né avranno interesse a cercare nuove vie di salvezza, saranno gli uomini di fede a ritrovare la strada.
“Ci sono tempi come il nostro, in cui la gente religiosa non è visibile, essa passa la sua vita disprezzata e umiliata. Proprio questa gente religiosa, sebbene sia poca, può spezzare e spezzerà il cerchio magico in cui è chiusa e come stregata la gente. Queste persone certamente incendieranno tutto il mondo e tutti i cuori degli uomini, inariditi da una lunga vita senza religione, ma bramosi di un rinnovamento, così come il fuoco incendia la steppa secca” (Che cos’è la religione e quale ne è l’essenza? Capitolo XVII).