Le relazioni via cavo

Estensione del corpo e allargamento degli orizzonti o rischio di strumentalizzazione e autismo digitale? Le mille domande sull’uso delle tecnologie nella rete delle relazioni e dei movimenti.
Come internet trasforma la vita.
Nicoletta Dentico (redattrice Mosaico di pace)

Camilla finalmente sceglie la scuola cui iscriversi dopo le medie, e con la scelta comincia anche l’immediata identificazione di nuove possibili amicizie da costruire nei cinque anni di liceo a venire. Madri che si sentono per telefono e si incontrano, per avere indicazioni sulla nuova scuola e sulle sezioni da opzionare. Figlie che contestualmente si mettono alla ricerca le une delle altre e alla fine si identificano e si conoscono su Facebook. Chiara e Camilla, coetanee tessitrici di fitti dialoghi virtuali, finiscono un giorno per trovarsi nella stessa aula magna, primo incontro collettivo con la preside della nuova scuola. Si riconoscono in mezzo a tanta gente, sguardi timidamente obliqui. Nessuna delle due, però, fa il minimo tentativo di avvicinamento all’altra, il primo passo per dirsi ciao. Evitato il contatto fisico, tra loro resta la relazione virtuale. Le rispettive madri non sanno farsene una ragione, si scambiano parole più o meno rassegnate, più o meno ansiose sul futuro delle relazioni umane.
Ecco una minuscola vicenda autobiografica che aiuta a introdurre alcune delle domande che hanno dato origine a questa raccolta di contributi, su un tema così strategico e attuale quale è quello che riguarda le nuove dinamiche, funzionali e relazionali, rese possibili dalle tecnologie digitali. L’intento è di aprire alcune fessure di analisi sul tema, magari anche di fornire qualche barlume di consapevolezza in più, visto che ognuno di noi ormai tiene con sé quei pochi centimetri di plastica e microchip che racchiudono illimitate possibilità di comunicare, informarsi, divertirsi, fare acquisti, concludere un affare, conoscere nuove persone e persino innamorarsi.
Le nuove tecnologie, insomma, stanno modificando con un impatto sconvolgente la società contemporanea. In meno di due decenni internet e i simboli sempre più sofisticati e ubiqui della vita digitale – computer e telefonini di illimitate generazioni, iphones, ipads – sono entrati a far parte della nostra esistenza a tal punto, che oggi riesce persino difficile concepire di essere riusciti per qualche tempo a viverne senza. Una presenza molto efficace e di formidabile utilità, idolatrata come tappa nodale del progresso umano (dopo il bastone, la ruota, l’orologio, la penna e l’automobile, secondo lo psichiatra Vittorino Andreoli), ma anche insidiosa e additata come l’allegoria di una società totalmente frammentata e in crisi, incapace di relazioni autentiche e assediata dalle paure.
Evoluzione, estensione del corpo, allargamento degli orizzonti e condivisione da un lato. Rischio di strumentalizzazione, riduzione dell’uso del corpo alla sola esplorazione dei polpastrelli, e autismo digitale dall’altro. Ci troviamo di fronte a uno snodo paradigmatico, ovvero di sistema, nelle forme di espressione personale, nei modi della comunicazione e della trasmissione della conoscenza nelle dinamiche di organizzazione della cultura. Vale, dunque, la pena analizzare la rete non solo sulla base dei suoi meccanismi interni, ma anche e specialmente le relazioni che essa intrattiene con la realtà quotidiana di ciascuno di noi, con il mondo esterno nelle sue dinamiche politiche, sociali, economiche.
Una cosa che balza agli occhi è il fatto che internet è caratterizzata da un’architettura aperta. In questo senso la rete – in un modello di società ancora largamente permeato dalla logica utilitaristica del mercato e dell’homo oeconomicus – è luogo che favorisce e contribuisce fattivamente alla costruzione di “beni pubblici” ovvero di quei beni non rivali di cui si può fare uso senza ridurne la disponibilità per altri, e di cui si può anzi ampliare l’utilizzo senza ulteriori costi. Sotto questo profilo è interessante notare che la realtà digitale ripropone modalità e forme di relazione che alludono ai modelli di condivisione della società tradizionale. È una rivoluzione, insomma, ma una rivoluzione che replica antiche forme del vivere civile, che ostenta nostalgie, e dà nuove sagome ai primordiali desideri di “convivialità” di cui scrive il teologo e sociologo Ivan Illich. La cosa avviene però con meccanismi assolutamente innovativi, rispetto ai quali noi utilizzatori viviamo il cambiamento ex post, nel senso che internet – e gli strumenti tecnologici dotati della stessa mobilità umana che supportano e veicolano la rete: computer, cellulari, macchine fotografiche, videocamere digitali, registratori digitali di suoni – ci confrontano con novità continue. Presi da esse, forse non abbiamo ancora elaborato riflessioni sufficienti su come e quanto internet non sia solamente un intreccio di rutilanti sorprese tecnologiche, ma anche luogo di antiche nostalgie del vivere. Un luogo in cui il singolo contenuto non è più solo un “prodotto” chiuso ed esaurito in sé, ma il nodo di una grande rete che tra loro collega contenuti e favorisce ulteriori potenziamenti di significati.
La generazione degli adulti vive l’esperienza di questa nuova corporeità fattasi immagine e scrittura, fattasi ubiquità, con l’impeto dell’entusiasmo, talora passionale. Al tempo stesso, però, serpeggia un sentimento di estraneità e di timore, il dubbio di chi sta perdendo i vecchi territori conosciuti della partecipazione e dell’azione condivisa tipici della vita pre-digitale – nell’impegno politico, nel metodo di acquisizione delle conoscenze, nelle forme di relazione personali. Constatiamo che la rete è entrata dentro di noi e le nostre vite, finanche nel nostro corpo – al punto che John Freeman parla nel suo libro di “tirannia dell’email” – ma non abbiamo ancora un lessico di riferimento per decifrare le tipologie dei cambiamenti in atto in questo ambiente virtuale, che ridefinisce completamente le necessità temporali di azione e reazione (il “tempo reale” che riduce la coordinata del futuro, con la sua portata di attesa, immaginazione e desiderio, ed erode la coordinata del passato, con i suoi sensi di colpa e le sue nostalgie), e nel contempo modifica radicalmente il rapporto fra pubblico e privato.
Internet è un ambiente culturale che determina stili di pensiero e nuove forme di comunicazione. I pericoli in agguato sono molti, però. Il rischio che questi network di condivisione divengano proprietà di un manipolo di aziende che mirano ad accrescere costantemente i loro profitti non è per nulla peregrino. I più popolari spazi di condivisione spesso inventati da intraprendenti studenti con pochissimi mezzi – come Facebook, ormai mezzo miliardi di iscritti in soli 6 anni di vita – sono stati ormai acquistati a cifre vertiginose da colossi come Rupert Murdoch (che ha compreato MySpace per 580 milioni di dollari) e Google (che ha acquistato YouTube per 1,65 miliardi di dollari).
Da qui tutto il movimento antiproprietario del free software che lancia, a colpi di gratuità e di incessante condivisione libertaria, la guerra alle grandi multinazionali.
Un altro rischio, un’autentica tentazione, è che internet e le nuove tecnologie non vengano assunte come un’occasione in più, ma un vero e proprio universo parallelo e sostitutivo orientato a conformare in maniera alienante le nuove relazioni umane, nel momento in cui la fabbrica della paura dell’altro, ovvero la frammentazione, il rumore e la difficoltà del tempo presente, ostacolano la spinta verso relazioni interpersonali autentiche.
Se è vero che internet va decifrato come un nuovo scenario della vocazione relazionale dell’umanità, e che lo scambio in rete è un allargamento del campo potenziale delle relazioni, della reciprocità, persino del dono (abbiamo mai pensato al volontariato di coloro che collaborano a Wikipedia?), allora occorre ricordare, come fa Antonio Spadaro nel suo libro “Web 2.0; reti di relazione”, che le relazioni umane sono frutto di tempi lunghi e fatica della conoscenza diretta. E che “quelle mediate dalla rete sono sempre necessariamente monche se non hanno un’integrazione nella vita ordinaria. È fondamentale comprendere che non deve esistere una demarcazione netta tra la realtà di tutti i giorni, dei contatti diretti, e quella che ci viene mediata dalla tecnologia. Le due dimensioni sono chiamate ad armonizzarsi e integrarsi quanto più possibile in una vita di relazioni piene e sincere”.

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