POTERE DEI SEGNI

Sull’altare del sacrificio

Gli ammalati sono i contestatori stabili del mito dell’efficienza. E don Tonino, ha attraversato, con spirito di martire, i travagli della passione. Ma con i poveri nel cuore.
Don Salvatore Leopizzi

La vostra sofferenza, il vostro pianto, quei pomeriggi che non finiscono mai, quelle notti in cui non si chiude occhio, quelle mattinate noiose, il dolore che nessuno conosce (…). Per la pace tra gli uomini l’offertorio delle vostre sofferenze vale molto più del darsi da fare della diplomazia internazionale. 

La pace per don Tonino è sì made in cielo, ma i suoi ingredienti, oltre che col sangue dei martiri, sono impastati anche con le lacrime degli ammalati, contestatori stabili del mito dell’efficienza.

Fu chiamato a sperimentarlo personalmente nei giorni amari della sua dolorosa passione. Devastato nel corpo dal drago maligno, ha percorso la faticosa mulattiera del calvario per collocarsi accanto al suo Signore, sul retro della stessa croce. Una croce con le ali, come quella del suo stemma episcopale. Ma pur sempre una collocazione provvisoria. Da lì, ha continuato ad essere dito puntato verso il Totalmente Altro e verso il totalmente oltre.  Confitto, ma non sconfitto dalla malattia, il pastore buono veglia il suo gregge come sentinella che, immersa nelle tenebre, ripete con gli occhi già pieni di luce, resta ormai poco della notte.

Non contristatevi per nessuna amarezza… vedrete come, tra poco, la fioritura della primavera spirituale inonderà il mondo! Piagato nel corpo, ma non ripiegato su se stesso.  La scoperta del male, alimentato forse anche da ingenerosi sospetti sul suo Vangelo di pace, poi il delicato intervento chirurgico, i consulti medici e le defatiganti chemioterapie, non gli hanno impedito di sentirsi in prima linea tra coloro che, nel popolo delle beatitudini, restano in piedi costruttori di pace!  

La passione nella sua carne ha suggellato la com/passione per tutte le vittime di ogni violenza e di ogni guerra. Da qui l’irremovibile decisione di partecipare, nel dicembre 1992, alla marcia dei 500 folli a Sarajevo per graffiare la colpevole indifferenza dell’Europa e risvegliare dal torpore la coscienza di tanta gente ignara e rassegnata. Cercammo di dissuaderlo: per ragioni di sicurezza, per le sue precarie condizioni di salute o anche – come ebbe a dire un autorevole esponente del governo – per mancanza di “copertura diplomatica”. A tutti rispondeva: “Anche con le flebo al braccio, sento di dover andare… Quella povera gente ha bisogno di un segnale di speranza, di un gesto che rompa il muro del silenzio e dell’indifferenza…”.

Con i familiari e altri amici celebrammo l’ultima Messa nella sua camera la mattina del 20 aprile 1993. Alla fine, dopo aver alzato la mano in segno di benedizione, volle consegnare a mons. Bettazzi i segni di quella calda utopia che aveva orientato i suoi passi fino alla fine: una stola multicolore donatagli dal vescovo latinoamericano mons. Proano, amico e difensore dei poveri e la tovaglietta d’altare intessuta da donne serbe e croate insieme, ricordo-simbolo del suo recente pellegrinaggio in Bosnia. Sull’altare scomodo del suo sacrificio, don Tonino ha saputo unire la densità mistica della sua configurazione al Christus patiens con la passione incandescente del testimone che rimane forte e fedele fino al martirio. Così tra le nebbie dei nostri quotidiani smarrimenti potrà ancora indicarci, sulle mappe del Vangelo, i sentieri di Isaia.

 

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