Chi fa la guerra non merita pace
La scritta si trova non lontano da piazza Banchi, all’inizio di Vico delle Mele nel centro storico di Genova. Siamo in piazza Senarega, famiglia genovese, così recita la targa affissa sulla parete. In fondo al vicolo stazionano alcune signore in attesa di clienti dove termina vico del Santo Sepolcro. È un’ area riservata alle latinoamericane che vanno e tornano dai rispettivi Paesi e si confondono con coloro che affollano di giorno Via San Luca, patrimonio dichiarato dell’umanità secondo l’Unesco.
Alpini infami, fuori tutti. L’hanno scritto con le consuete bombolette di vernice e al lato si nota una sorta di lunga e sconclusionata poesia inventata da un improbabile poeta militante. Accanto, in caratteri più rispettosi, una frase inneggia il mistero della femminile intimità.
Chi fa la guerra e non merita pace si trova invece marcato sulla parete adiacente la farmacia di piazza Senarega. L’ insegna senza nome proprio brilla sempre e, davanti alla porta di ingresso, sta la croce illuminata di verde che non smette di cambiare di dimensioni a ritmo cardiaco..
Alpini go home, riprende l’altra scritta con un pizzico di civetteria linguistica che ribadisce lo stesso concetto che circonda la piazza. Qui ogni sabato si vendono alcuni prodotti agricoli biologici, dal produttore al consumatore, proprio come le guerre, senza intermediari. Perché chi fa la guerra e non merita pace suona come il riassunto dell’umana storia scritta al maschile dai guerrieri e dalle vittime di sempre.
E ricordo che chi conobbe mio padre, partigiano di una delle resistenze al nazi-fascismo, mi raccontò che quando decisero di distribuire le armi lui scelse di rifiutarle.
Se devo morire, è meglio che sia così – disse mio padre.
E si occupò, da allora, di guidare bene i muli che attraversavano le montagne dell’Appennino e caricavano il necessario per la sopravvivenza di quel gruppo di giovani che si chiamavano allora ribelli. Terminata la guerra fecero il viaggio a Roma sul tetto del treno e le armi spararono verso il cielo che stava a guardare come se fosse l’ultima volta. Allora la guerra sembrava proprio finita e subito dopo iniziava l’altra, ancora più difficile, per la pace e la giustizia di tutti i poveri.
Nel nostro piccolo, con un amico, abbiamo fatto lo stesso. Invece del servizio militare, siamo partiti per un paio d’anni in Africa Occidentale, in Costa d’Avorio, per insegnare come imparare a vivere con la pace. Né armi né uniformi e neppure bandiere da sventolare o da salutare, sull’attenti, come fanno i militari o i giocatori prima delle partite di calcio.
Chi fa la guerra con le parole e con l’economia non merita pace che poi è il frutto di una politica che decide di convivere con la giustizia e la libertà.
La guerra in Liberia e i campi profughi con le missioni di pace delle Nazioni Unite e i posti di blocco con i sacchi di sabbia e il filo spinato che della pace sono la menzogna vissuta e contrabbandata nell’economia di guerra che è canaglia. Passano appaiati gli alpini e solcano il Centro Storico di Genova e passano i carabinieri in coppia e passa la guardia di finanza e passa la polizia e passano i vigili urbani e scappano i venditori ambulanti senegalesi e si nascondono per qualche minuto le donne dei bassi e persino i clienti si confondono coi passanti.
Si nasconde anche, per vergogna o timidezza, la pace.
Poco dopo tutto torna come prima.
Chi fa la guerra non merita pace e ho incontrato ex militari eritrei scappati e feriti per sempre dalla guerra e dal sangue versato sulle frontiere degli interessi e dei nazionalismi finti di un potere smascherato dalla viltà. Altri sono stati torturati in Costa d’Avorio e Guinea e Libia e dal deserto che non sopprime le schiavitù, solo le rende più negoziabili, a volte.
Chi fa la guerra o la difende o la giustifica o la promuove o la nasconde o la legittima o la propaganda o la converte in religione non merita pace.
Questo sta scritto in piazza Senarega, famiglia genovese, nel cuore del Centro Storico e poco lontano dal Porto Antico.