Il riflesso delle donne
I suoi libri, “Ancora dalla parte delle bambine” e “Non è un Paese per vecchie”, si leggono tutto d’un fiato. Solleticano domande, interrogano, incuriosiscono. Mentre pare equiparato il mondo maschile a quello femminile, in termini di diritti e di opportunità, e sembra superata la questione dell’oppressione delle donne, esiste un mondo parallelo di negazione, di silenzi, di ruoli imposti o troppo stretti. L’universo femminile è tutto da esplorare. La dignità di ogni essere umano è sacrosanta e, spesso, quella delle donne non è del tutto riconosciuta.
Abbiamo posto a Loredana Lipperini, ricercatrice in ambito di questione femminile, giornalista, scrittrice, alcune domande.
Come possiamo riprendere la questione femminile senza finire nel “recinto delle quote rosa”? Molte rivendicazioni sono state riconosciute e ci sembra di poter contare su una base di diritti che ci pone sulla stessa linea di partenza degli uomini, però, nella realtà, le cose cambiano. E molto. Dal suo punto di vista, dalle ricerche che ha svolto, quali sono i nodi da sciogliere? Cosa è rimasto della bella rivoluzione femminile degli anni Sessanta/Settanta?
Scindiamo i due aspetti. Cosa è rimasto delle battaglie femministe degli anni Settanta? Sono rimaste molte cose a livello di conquiste sociali e politiche. Non dimentichiamo il diritto di famiglia – che è una conquista recente – o la legge sul divorzio e sull’aborto. Il terreno in cui si è “mollata la presa” è stato quello dell’immaginario, abbandonato dallo storico movimento femminista. Intendo per immaginario tutto quello che compone il mondo culturale della comunicazione, dell’informazione. Dai libri di testo delle scuole elementari sino alla pubblicità o alla televisione o, più in generale, all’informazione. Sulle quota rosa non sono convinta che sia un recinto. Onestamente perché nel migliore dei paesi possibili – e il nostro non lo è dal punto di vista della disparità tra i generi – non si ha bisogno di quote rosa. In Italia, invece, è una necessità e, per giunta, immediata. Se le donne sono quasi assenti nei consigli di amministrazione aziendali, tanto per fare un esempio, credo che avremmo bisogno non del 15/20% ma del 50/60% di donne presenti nei luoghi dove si decide, come avviene in molti altri Paesi. Nel momento in cui nelle reti televisive, nelle agenzie pubblicitarie, nelle direzioni dei giornali, le donne non ci sono, un lavoro sull’immaginario non si può fare.
Quali sono, a suo giudizio, i condizionamenti, le discriminazioni, i maggiori ostacoli alla piena realizzazione della parità di generi e di rispetto delle diversità di ciascuno, riferendoci a ogni diversità di genere e non solo maschile e femminile?
Il discorso va esteso a tutte le identità di genere e, aggiungerei, anche anagrafiche, perché non dimentichiamo che esiste anche una discriminazione di questo tipo. Dobbiamo eliminare ogni disparità che si basi su genere sessuale, età, razza e provenienza. Questo dovrebbe essere un impegno prioritario per tutti/tutte, a ogni livello. Come si costruisce una collettività senza discriminazioni? Prima ho citato alcuni luoghi dell’immaginario che mi sembra siano tuttora trascurati e rafforzano disparità. Se l’attenzione dei media si è concentrata abbastanza sul fenomeno del “velinismo”, c’è enorme trascuratezza per quel che riguarda l’educazione al genere che avviene nell’infanzia. È grave, ad esempio, come denunciavo anche in “Ancora dalla parte delle bambine”, la discriminazione che passa nei libri di testo delle scuole elementari, per lo più inosservata. Nel momento in cui si formano dei bambini e delle bambine, si insegna loro anche che, per nascita, sono diversi e sono rappresentati in modo diverso, che hanno caratteristiche psicologiche diverse. A questo punto, penso che il danno sia già fatto.
Possiamo parlare di modello velina – o winks, degli effetti sulle bambine e sulle adolescenti. Stiamo forse crescendo solo serve inutili e donne da vetrina?
Naturalmente molto dipende dal contesto in cui si vive e si cresce e, come altrove, non si può generalizzare. È vero che se c’è una famiglia che spinge affinché la bambina domani investa tutto sul proprio corpo, con ogni probabilità questo avverrà. Mi sembra che, nel tempo attuale, i prodotti per i “maschi” e quelli per le “femmine” siano tragicamente differenziati, sempre più dagli anni Novanta in poi. Una buona “levata di scudi” si è constatata in merito ai prodotti pubblicitari degli adulti, mentre a me pare che non avvenga la stessa cosa per i prodotti per l’infanzia. E questo è molto preoccupante. Si continuano a offrire alle bambine, in un momento importante per loro crescita complessiva, prodotti che richiedono di incentrare tutta l’attenzione sul corpo e sulla bellezza. Su questo aspetto si sta facendo molto poco. Le linee di bellezza per bambine sono sempre più diffuse; nel mio libro ho citato il lancio di intimo leopardato per neonate: è una cosa devastante! Cosa si può fare? Come sempre, parlarne. Bisognerebbe avere il coraggio di denunciare casi come questi.
La rappresentazione del corpo femminile nei mass media: quale idea di donna passa attraverso la pubblicità o i programmi televisivi con maggior audience?
Credo che i modelli siano sempre due. Quello della donna-bambina bella e felicemente disponibile e quello della donna, o anche bambina, accudente e casalinga, come in molte pubblicità di industrie alimentari. Sembra una rappresentazione degli anni Cinquanta, invece è la nostra realtà. Per quel che riguarda le donne anziane, il discorso è ancora più interessante perché pur nel rilancio della presenza (oggi scarsa) degli anziani in pubblicità in cui il ruolo maschile è quello di dar consigli e di far crescere la fascia giovanile, le donne sono praticamente “usate” solo come nonne. Non come nonne portatrici di saggezza ma come vecchie signore invidiose, che fanno branco tra loro e che portano avanti maldicenza magari della vicina bella e giovane. La rappresentazione pubblicitaria è, ancora una volta, devastante. Va anche detto che la pubblicità non inventa nulla, non è sperimentale, ma accoglie e amplifica quanto già è sentire generalizzato.
Come è nata l’idea originale di una specifica ricerca sulle donne anziane?
L’input iniziale è stato duplice. Da un punto di vista sociale, durante la presentazione del mio libro “Ancora dalla parte delle bambine”, una donna mi chiese quando mi sarei occupata “di loro”, cioè di donne intorno ai sessant’anni che devono occuparsi sia dei nipoti che di altri anziani di cui lo Stato non si occupa.
Contemporaneamente, in quello stesso periodo, a Roma, in una metropolitana, c’era la pubblicità di una campagna “antiburocrazia” dove la burocrazia era rappresentata da una “vecchia” con la veletta e il cappellino, le labbra a cuore, le guance dipinte. Nell’ambito della generale invisibilità degli anziani, l’invisibilità femminile era ancora più grande e più trascurata. Bisogna valutare anche i risvolti sociali perché siamo in un Paese in cui i pensionati sono tra i più poveri d’Europa e un pensionato su due è sotto la soglia di povertà. E le donne anziane sono ancora più povere degli uomini: contro una pensione media maschile di 800 euro, quella femminile è di 500.
Le donne nella e della politica: il G8 dell’Aquila ha dato l’idea di ministre di questo governo pronte a fare gli onori di casa e a presiedere ricevimenti, mentre ai tavoli della politica sedevano uomini. Cosa ne pensa?
Innanzitutto, credo si sia parlato troppo di questo governo e per i motivi sbagliati. Se posso permettermi il commento, sono stanca di parlare delle donne del capo e di non parlare dei tagli al welfare che questo governo compie. È una prospettiva pericolosa perché si rischia di utilizzare la questione femminile (che è cosa serissima), per lanciare una certa strategia. Premesso questo, veniamo alle donne in politica in generale. Mi piacerebbe sapere in quale coalizione politica vengono affrontati propositivamente i problemi che riguardano la questione di genere nel nostro Paese. Abbiamo quattro questioni sui quali siamo giudicati dal World Economic Forum: istruzione, che è l’unico dove abbiamo una posizione positiva, aspettativa di vita e di salute, parità economica e professionale, influenza politica. In base a questi parametri noi siamo 74simi su 134 Paesi, dopo Rwanda e Vietnam, il che significa che siamo tra i Paesi, secondo l’agenda del World Economic Forum, destinati a svilupparsi di meno dal punto di vista economico e sociale. Non un’organizzazione femminista ma il presidente di Bankitalia dice che, nel momento in cui l’occupazione femminile non fosse al 43% com’è oggi ma al 60% che è la media europea, il prodotto interno lordo crescerebbe di 17 punti. Credo sia urgente affrontare la questione femminile da questa prospettiva.
Nel suo libro, “Ancora dalla parte delle bambine”, è ben illustrato il meccanismo di omologazione femminile al modello maschile – “la cosiddetta parità che, invece, che assicurare pari diritti garantisce alle donne il doppio lavoro” (prefazione di Elena Belotti). Forse non è iniziata l’assunzione da parte dell’uomo delle proprie responsabilità. Come scardinare abitudini devenute oramai sistema?
Lavorando sia sull’immaginario che sul piano sociale. Nel momento in cui, con la prossima legge di stabilità del 2011, si taglia ancora di più il welfare e gli aiuti alle famiglie, le condizioni della gente precipitano. Ad esempio, esisteva un fondo di 400 milioni di euro per gli anziani non autosufficienti. Ora, nel 2011, passerà a zero. Bisogna pretendere dalle forze politiche un lavoro serio in questa direzione. Poi c’è il piano dell’immaginario, che parte dalla presa di coscienza. Parliamo e denunciamo. Dopo, ognuno potrà cercare di mettere in atto una pratica diversa.
Il ruolo delle madri e dei padri: riproduciamo suddite e sultani oppure costruiamo identità, maschili e femminili, di (reale) pari dignità?
È chiaro che i modelli si apprendono nell’infanzia ma è anche vero che si possono combattere anche in età adulta. Io racconto nel mio blog l’episodio di un papà italiano che ha sposato una donna svedese e ora vive a Stoccolma. I suoi modelli lo portavano a chiedere alla moglie, ad esempio, di stirargli la camicia, e lei rispondeva “Neanche per sogno, questo è il ferro da stiro”. E dai modelli di vita quotidiana si passava poi a mettere in discussione anche i modelli sociali. Siamo però in un Paese, la Svezia, dove il congedo genitoriale è equamente diviso, dove gli asili sono gratuiti, aperti 12 mesi su 12, sino alle sette di sera. E siamo in un Paese dove negli stessi asili si distribuisce una cartolina in cui si avvisano i genitori che, se hanno avvisaglie di discriminazione per genere sessuale, devono avvertire le autorità preposte. Sociale e immaginario vanno di pari passo.