Preparate i vostri figli

Ma la donna era presente nel Concilio Vaticano II?
Quale è il suo apporto nella Chiesa di oggi e in quella di domani?
Luigi Bettazzi (già vescovo di Ivrea, presidente Centro Studi Economico-Sociali per la Pace – Pax Christi)

Porsi l’interrogativo su “la donna nel Concilio Vaticano II” sembrerebbe assolutamente anomalo, sia perché i Concili ecumenici sono costituiti per principio dai vescovi, successori degli apostoli e, in quanto tali, responsabili della Chiesa, sia perché nel tempo del Concilio – dal 1962 al 1965 – erano da poco iniziate le rivendicazioni femministe e la donna risultava pressoché esclusa dal concorrere a posti di responsabilità nella guida della società.

In realtà, al Concilio Vaticano II partecipavano anche persone che non erano vescovi, dal centinaio di superiori generali di Ordini e Congregazioni religiose maschili (questi anche con diritto di voto) agli osservatori, tra cui il blocco dei cristiani non cattolici, dalle varie Chiese ortodosse ai molti protestanti, tra cui spiccavano Roger Schutz e Max Thurian della comunità di Taizé e il grande teologo Oscar Cullman. Alla prima sessione assisteva anche il francese Jean Guitton, ma poi vennero aggiunti altri, a cui venne data anche la parola (ricordo in particolare l’italiano Vittorino Veronese, già presidente dell’Azione Cattolica Italiana, poi di organismi cristiani internazionali).

Alla terza sessione vennero invitate anche alcune donne, a cui peraltro non si diede la possibilità di intervenire; tanto che girava la battuta che mentre ai vescovi si dava da votare, oltre il sì (placet) e il no (non placet) anche un’approvazione con suggerimenti di modifiche (placet iuxta modum), alle donne si sarebbe concesso di votare “placet iuxta modam”! Verrebbe da precisare che, quando in Concilio si parlava dell’uomo, si intendeva parlare anche della donna, e non solo perché, come affermava un amico, quando si parla dell’uomo si intende abbracciare anche tutte le donne, ma anche perché in latino l’uomo al maschile, soprattutto quando si intende metterne in luce la dignità, è “vir”, lasciando a “homo” il livello di “creatura umana”, ivi compresa, dunque, la donna.

Dell’uomo si parla molto al Concilio, in particolare nella Costituzione pastorale su “La Chiesa nel mondo contemporaneo”, la “Gaudium et spes”, tutta rivolta appunto ai valori umani, quali troviamo prescindendo dai valori soprannaturali derivati dalla Rivelazione. La Rivelazione, infatti, suggerisce e sviluppa anche i valori naturali, che poi però dobbiamo riconoscere nelle loro dimensioni puramente naturali per poter dialogare e collaborare con tutti gli uomini di buona volontà nella costruzione e nella vita della società civile. È così che si parla della persona umana nei suoi aspetti materiali e spirituali, nella sua dimensione individuale e in quella sociale, e tutto questo vale per l’uomo al maschile e per quello al femminile.

È significativo che la specificazione del femminile sia richiamata più volte, in modo particolare circa il diritto della donna alla cultura (GS, 60): “Le donne lavorano già in quasi tutti i settori della vita; conviene però che esse possano svolgere pienamente i loro compiti secondo le attitudini loro proprie. Sarà dovere di tutti far sì che la partecipazione propria e necessaria delle donne nella vita culturale sia riconosciuta e promossa”. Ovviamente questa rilevanza della donna viene messa in evidenza nell’ambito del matrimonio e della famiglia, dove il contributo specifico femminile viene esplicitamente messo in risalto, come rivelatore della realtà delle persone, che è tale se è aperta all’altro (GS, 121: “L’uomo infatti, per sua intima natura è un essere sociale, e senza i rapporti con gli altri non può vivere né esplicare le sue doti”) e come radice dell’esigenza di rispetto e fedeltà reciproca (GS, 49: “L’unità confermata dal Signore appare in maniera lampante anche dalla uguale dignità personale che bisogna riconoscere sia all’uomo che alla donna nel mutuo e pieno amore”).

Un accenno esplicito viene fatto anche sul piano dell’apostolato: “Siccome poi ai nostri giorni le donne prendono parte sempre più attiva a tutta la vita sociale è di grande importanza una loro più larga partecipazione anche nei vari campi dell’apostolato della Chiesa” (“Apostolicam activitatem”, 9).

Ministre o reggitrici?

Questi pochi accenni manifestano già – in quel tempo e in quel contesto – la preoccupazione che la donna non venga considerata – come per troppo tempo lo si è fatto e ancora talora si fa – come un essere umano di secondo livello, accanto al primo livello dell’uomo al maschile, necessaria per fare figli e governare la casa (a Bologna la donna di casa è chiamata “la zdoura”, cioè la “reggitrice”!), anche se non mancavano le riserve, non solo di tipo teologico (circa i “ministeri”) ma anche di carattere sociale – le donne non parlino al Concilio, forse applicando il monito di S. Paolo (1 Tim 2, 11-12). Proprio per questo risalta ancor più che nei messaggi che il Concilio ha voluto rivolgere nella giornata conclusiva, accanto a quelli, per esempio, per gli scienziati o i lavoratori, ci sia stato anche quello rivolto “alle donne”, frutto forse della profonda sensibilità di Papa Paolo VI. Quel messaggio inizia ricordando che “la Chiesa è fiera, voi lo sapete (ndr: questa è un’osservazione tipica di Paolo VI), d’aver esaltato e liberato la donna, d’aver fatto risplendere nel corso dei secoli, nella diversità dei caratteri, la sua uguaglianza fondamentale con l’uomo”. E continua: “Ma viene l’ora, l’ora è venuta in cui la vocazione della donna si svolge con pienezza, l’ora nella quale la donna acquista nella società un’influenza, un irradiamento, un potere fin’ora mai raggiunti! “. Al di là degli auspici specifici che il Messaggio rivolge alle donne del “focolare”, alle nubili, in particolare alle consacrate e alle “donne nella prova”, al di là del problema centrale della vita (“riconciliate gli uomini con la vita”) e della specifica vocazione alla dedizione, ritorna costantemente l’apertura all’avvenire (“vegliate sull’avvenire della nostra specie”, “preparate – i figli – a un imprevedibile futuro”, “preparate – gli uomini – all’audacia delle grandi imprese”), con l’affidamento alle donne della pace: “Donne di tutto l’universo, cristiane e non credenti, a voi è affidata la vita in questo momento così grave della storia, spetta a voi di salvare la pace del mondo”!

Se anche il Concilio non ha parlato molto della donna se non implicitamente nel discorso sull’essere umano (anche se, come abbiamo ricordato, più volte ha sottolineato l’uguaglianza con l’uomo al maschile, attribuendo quindi a essa quanto si dice di lui), è bello che proprio alla donna, quindi a quanto in essa è più caratteristico nei confronti dell’altro sesso, il Papa nel messaggio abbia voluto affidare l’attuazione del Concilio stesso: “Donne, voi che sapete rendere la verità dolce, tenera, accessibile, impegnatevi a far penetrare lo spirito di questo Concilio nelle istituzioni, nelle scuole, nei focolari, nella vita quotidiana”.

 

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