Globalizzare la competizione dei diritti
Non sono un industriale e pertanto non so pensare come un industriale. Non sono un sindacalista e non conosco il dettaglio dei contratti in discussione in questo momento nel nostro Paese. So che globalizzazione della produzione e competitività sono le parole chiave degli accordi e del dissenso. Semplicemente mi chiedo: perché globalizzazione e competizione devono necessariamente coniugarsi con la convenienza e non con i diritti? Diritti che sono riconosciuti e validi da noi, dovrebbero esserlo in ogni parte del mondo. Globalizzazione e competizione sui diritti sarebbe forse la leva migliore per un mondo migliore per tutti e tutte. Non una contrattazione nazionale ma, in un mondo globalizzato, una contrattazione sovranazionale. Allora sì la competizione avverrebbe esclusivamente sulla qualità e non sulla convenienza (dei padroni delle industrie e dei consumatori) perché il parametro sarebbe quello dei diritti. Mi spiego: non deve essere consentito a nessuna nazione importare prodotti che affamano, umiliano, degradano i lavoratori e le lavoratrici. E se la qualità della vita e dei posti di lavoro, le ferie e le pause, la malattia retribuita e la pensione dignitosa... sono diritti qui, devono diventarlo anche in Cina, India, Thailandia, Vietnam e Ucraina. Oggi sta succedendo esattamente il contrario e persino in Italia gli operai sembrano costretti a rinunciare a parte dei propri diritti sotto la minaccia e lo spettro della chiusura e del licenziamento. Troppo difficile? Troppo semplice? Forse solo troppo. Per chi ha a cuore la borsa più della vita.