Canto per la morte di un profeta

25 gennaio 2011 - Tonio Dell'Olio

La selva Lacandona oggi è triste. Anche i suoi alberi si inchinano per salutare Tatìc Samuel. Dormirà per sempre tra la sua gente e continuerà a cantare gli inni dei Maya nella terra povera del Chiapas. Così ha voluto prima di morire il vescovo dei poveri, l’anima grande che conobbe la miseria e la ricchezza del suo popolo. Samuel Ruiz era un uomo innamorato della verità e la cercava nelle case dei campesinos e non nei palazzi del potere. Profeta che sa usare la parola e sa spezzare il pane. Profeta che sa vivere il suo tempo e scrutare l’orizzonte. Monsignore sì, ma per la sua gente soltanto Tatìc come nella tradizione Maya. Padre e amico, uomo su cui contare e forte solo della verità e della nonviolenza. Perché un giorno, Samuel, aveva scelto a quale parte restare fedele per sempre. Per questo un contadino lascerà cadere del mais nella sua tomba. A cantare l’inno della vita scenderanno dagli altopiani i zotil e itzeltal e si uniranno ai tojolabal, ai ch'ol e ai lacandoni per dirgli arrivederci in lingua Maya.

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