Forum mondiale di Teologia e liberazione

7 febbraio 2011 - Alex Zanotelli

Sabato 5 febbraio, si è aperto ufficialmente il Forum mondiale di Teologia e liberazione (Fmtl) al Collegio Sacré Coeur a Dakar, la capitale del Senegal. Il Forum, che è promosso dall’associazione dei teologi del Terzo mondo, per la prima volta è incluso nel Forum mondiale sociale. Vuole essere il tentativo di costruire una spiritualità ecumenica per chi opera nei movimenti sociali. È importante che per la seconda volta si sia tenuto in Africa, la cui aria abbiamo respirata a pieni polmoni.
L’evento si è aperto con un rito di accoglienza in stile africano dei delegati. Al rullo dei tamburi, un gruppo di giovani è entrato in sala danzando, mentre una donna portava sulla testa un calabash, contenente la Bibbia e il miglio, che è poi stato distribuito ai danzatori, che a loro volta lo hanno messo sulla mano di ciascuno dei partecipanti, come segno di accoglienza. Hanno eseguito poi una rappresentazione, utilizzando stoffe di vari colori, invitando così tutte le culture e le religioni a vivere la convivialità delle differenze. Abbiamo così goduto dello spirito di accoglienza del popolo senegalese, che ne fa la sua caratteristica peculiare. Il segretario generale dell’Ftlm, il brasiliano Luis Susin, ha aperto il Forum ponendo tutta una serie di domande ai congressisti sul significato della Teologia di Liberazione nei vari continenti. Il primo panel, coordinato dal brasiliano Roberto E Zwetsch, ha trattato un tema fondamentale: “I beni comuni nella prospettiva della tradizioni religiose”. Vi hanno partecipato la teologa ghaneana Mercy Amba Odoyoye e lo spagnolo Juan José Tamayo.
“Vi diamo il benvenuto”, ha detto la teologa, “in questo continente da cui tutti voi provenite. Ricordatevi che Dio non è arrivato in Africa con i missionari cristiani né con i commercianti mussulmani. Dio era qua fin dall’inizio e ci ha donato questa bellissima terra, a cui noi apparteniamo”. Odoyoye ha poi spiegato i beni comuni nella tradizione africana, utilizzando miti, tabù, riti e proverbi. Tamayo ha insistito. Invece, su come legare il contratto sociale al contratto naturale, su come di riprendere l’utopia della commensalità, e per realizzarla ha lanciato un decalogo che può essere riassunto nella Teologia ecologica della liberazione. “Non dobbiamo chiederci dov’è Dio” ha concluso Tamayo, “ ma dov’è l’essere umano, per restituire a quest’ultimo la responsabilità”. I senegalesi hanno ulteriormente dimostrato la loro capacità di accoglienza offrendoci un pranzo con i loro piatti tipici, che ha aiutato a creare un clima di convivialità e di mutua conoscenza.
Nel pomeriggio, il secondo panel, coordinato dalla teologa kenyana Mary Getui, aveva come tema: “Contestualizzazione delle teologie nei vari continenti”.
I relatori sono stati: il cileno Diego Irarrazaval, la cinese Wai Man Yuen, il tedesco Ulrich Duchrow, l’afroamericano Dwight Hopkins e il neozelandese Sean Clearly. Davvero una serie di relazioni di alto valore teologico e umano.
Irarrazaval ha insistito sull’aspetto dei cambiamenti epocali in atto, che interrogano la teologia e che non le permettono di starsene tranquilla a osservare. Ha sottolineato la dicotomia tra la teologia come cultura e l’impegno sociale.
Il brillante Duchrow ha poi analizzato la situazione europea, dove il denaro, l’economia e la finanza dominano indisturbati e l’unica legge è quella del profitto. Ha attaccato pesantemente la finanza, dicendo che i debiti fatti dalle banche sono stati pagati dai cittadini.
“Abbiamo bisogno di una cultura della vita perché oggi nel vecchio continente esiste solo l’antropologia del mercato. Dobbiamo reagire e scendere in piazza come hanno fatto i tunisini”. Il teologo tedesco ha insistito molto affinché le chiese recuperino una critica profetica della società e affinché si adoperino a creare comunità alternative al sistema.
Hopkins ha elencato una cronologia delle resistenze profetiche nel cuore dell’impero americano. Mentre il neozalendese Clearly ha evidenziato il disastro che questo sistema economico provoca nel continente australiano, accentuando i cambiamenti climatiche che ne deriveranno.
Il biblista camerunese Paulin Pacouta, assente a Dakar, ha inviato un contributo scritto in cui ha analizzato criticamente i 50 anni delle indipendenze africane, insistendo in particolare sul fatto che le chiese e le religioni devono essere meno schizofreniche e più coinvolte nei problemi della società. Il suo interrogativo finale è stato su come possiamo promuovere la vita e come rispondiamo oggi alle sfide che l’Africa ci pone. Ne è seguito un ampio e articolato dibattito, che ha sottolineato la gravità del momento storico che stiamo vivendo. Ci vuole un bel coraggio a credere che un altro mondo è possibile. C’è proprio bisogno di recuperare l’utopia nelle religioni e nelle teologie. “A che serve l’utopia?”, si sono chiesti vari relatori riprendendo le parole di Galeano. “Serve a continuare a camminare”.

Dakar 5 febbraio 2011

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