Il governo degli affari
Diciamo che siamo tutti un po’ ipocriti. Poi ci salviamo, perché la responsabilità è solo dei governi e dell’informazione che ci mette improvvisamente davanti a fatti per noi imprevedibili. In realtà, un po’ di cose le sappiamo. Cose scomode che il pensiero non memorizza per collegare cause ed effetti.
Che nel Sud del mondo i giovani sotto i trent’anni siano più del 70 % delle diverse popolazioni, è stato detto in tutte le salse. Non importa essere andati al mare a Djerba o a visitare le piramidi per sapere che i giovani non sono più da nessuna parte come faceva comodo pensare che fossero. Quanto meno si servono dei telefonini e, anche se non possiedono un personal computer, visitano gli internet points. Nemmeno i Paesi sono più gli stessi: i poveri sono sempre al fondo della scala sociale, ma la miseria non è più la fame assoluta, le università hanno un buon livello e, anche nell’Africa nera, nei convegni si incontra la presidente delle donne giuriste o il sociologo che ha fatto in loco un master in ecologia del territorio.
Se le condizioni di compressione dei diritti umani e di libertà producono desiderio traboccante di un’altra vita in società in cui crescono disuguaglianza e disoccupazione, come trovare “imprevedibile” la voglia di “risorgimento”?
Centocinquant’anni fa lo straniero veniva in Italia per visitare le città d’arte, i governi cercavano di conservare i vecchi privilegi del trono e dell’altare, la società “bene” lombarda faceva tranquilla i propri affari sotto l’occupazione austriaca o il pugno di ferro di Bava Beccaris contro i lavoratori. Anche allora i giovani pensavano in altro modo, e così le donne; e gli sfruttati, timorosi solo di trovare nuovi padroni. Ma i francesi, quelli della rivoluzione e dei diritti, vennero a difendere Pio IX e non la repubblica romana.
Noi che cosa stiamo pensando di fare? Che cosa prevediamo? E che cosa stanno decidendo i governi dell’Occidente? Le preoccupazioni non mancano perché in tutti questi anni di democrazia abbiamo perseguito interessi, qualche po’ di cultura, ma nessuna preveggenza. Quaranta, trenta anni fa, quando in molti Paesi vigevano condizioni sociali terribili e repressioni dittatoriali – pensiamo al Sudafrica o al Cile di Pinochet – i governi mantenevano più o meno copertamente le relazioni d’affari, ma si erano dotate anche di canali di comunicazione con i partiti dell’opposizione interna e della diaspora. Anche i singoli partiti avevano relazioni neppure segrete (si organizzavano convegni pubblici per denunciare le dittature) e i TG facevano vedere le proteste popolari e le interviste agli oppositori. Oggi si conoscono i nomi di alcuni partiti forse della Tunisia o si citano, non sempre a proposito, i Fratelli musulmani; ma nessuno sa nulla delle organizzazioni e delle associazioni di base (che ci debbono pur essere) dei movimenti e, comunque, né governi né organismi politici e di cooperazione sanno chi si debba sostenere, anche economicamente, per dare gambe alle aspirazioni democratiche. Se mancherà l’appoggio (una volta si diceva la solidarietà), forze organizzate non mancheranno di farsi sentire e dovremo rapportarci con loro; forse si perderà l’occasione di evitare altri guai a danno di chi oggi certamente non vorrebbe far cadere un potere oppressivo per ritrovarne un altro. Ma sappiamo che si fa presto a far diventare minoranza la maggioranza delle piazze.
Come europei, da anni stiamo insegnando antipolitica anche a chi potrebbe insegnare a noi come migliorare (e non devastare) il mondo. Invece, le nostre società contraddicono i principi che predicano, senza accorgersi di sostenere solo il proprio interesse/benessere parlando dei diritti universali mentre gli altri restano nuovamente schiavi.
I movimenti magmatici che agitano Magreb e Mashrek e che in Libia sono diventati tragici, avranno esiti ancora indecifrabili, ma debbono adesso sollecitare le coscienze europee. Sempre che ci teniamo a non tirarci addosso guai maggiori. Sarebbe bene rendersi conto della diversa dislocazione dei poteri nella modernità: in Belgio da più di otto mesi non si riesce a formare un governo, tuttavia anche per tempi così lunghi il Paese può non subire traumi eccessivi, sia perché gli interessi sono il vero potere e ormai si chiamano da un lato globalizzazione e dall’altro governance europea, sia per il senso civico del popolo in possesso di buone amministrazioni locali. Da noi qualunque prassi federalista cozza in primo luogo contro l’assenza di senso dello Stato degli stessi leghisti. E la xenofobia anti-immigrazione oggi si rompe le corna sull’insensata politica governativa: nessuno sano di mente avrebbe dato 5 miliardi a Gheddafi per tenere nei suoi orrendi lager gli odiati migranti. Oggi siamo ricattati da un’Europa che ci farà colpevoli del nuovo flusso immigratorio (“teneteveli, sono opera vostra”) e del sostegno a una dittatura infame (contro la quale, in verità. nessuno ha mai predicato crociate) a cui Berlusconi ha baciato letteralmente, senza alcun senso del ridicolo, le mani. Di fronte al marasma mediterraneo, sarà difficile limitarsi alle dichiarazioni verbali di democrazia e rispetto dei diritti di libertà, dal momento che in tutti prevale la paura per gli effetti di ricaduta: chi possiede petrolio e gas alzerà comunque i prezzi e darà parecchio fastidio alle banche; ma anche i Paesi mediterranei (compresi i dimostranti) dovranno riprendere a vendere e far soldi. Le reazioni di questo mese potranno rientrare con modalità le più diverse, dai governi militari alle forze organizzate che non si fatica a pensare già pronte con i cappellini in mano da mettere sopra le giuste aspirazioni della gente.
Comunque, non si fermerà l’esodo di giovani che, dietro l’aspirazione alla libertà, sono desiderosi come i nostri di avere più denaro, più macchine, successo, secondo l’insegnamento dei “grandi fratelli”, nostri e ormai anche loro. Di fronte ai problemi dei richiedenti asilo e dei migranti non riceveremo grande solidarietà dagli altri europei, visto che non abbiamo ancora una vera legge sui diritti dei rifugiati e a loro e agli immigrati prospettiamo soltanto i Centri di un’accoglienza che appaiono solo carcerari.
D’altra parte di movimentismo e di associazionismo non si vive a lungo e ci sarà un ritorno all’ordine, si spera non restaurato ma almeno riformato. In ogni caso tutta l’Europa – ma in particolare l’Italia berlusconiana – pagherà il prezzo di decenni di improvvida relazione con i Paesi del Mediterraneo: dalla conferenza del 1995 a oggi, infatti, il “partenariato” ha fatto pochi passi in direzione di una correzione degli squilibri. Con danno della democrazia sostanziale, che non è per nessuno l’espressione formale in bocca a chi non sa schiodarsi dal limite ristretto di interessi destinati a produrre disastri.