Le rivoluzioni nonviolente arabe

7 aprile 2011 - Antonino Drago

Per meglio comprenderle, partiamo dalle rivoluzioni nonviolente che più hanno (cambiato e) impressionato il mondo, quelle del 1989.
Esse sono scoppiate all’improvviso (benché precedute da quasi dieci anni di lotta nonviolenta di Solidarnosc all’interno di un sistema di potere ritenuto da quasi tutti inamovibile). Dal maggio 1989 (Cina) al novembre (Germania est) sono intercorsi sei soli mesi, durante i quali è cambiato il mondo politico internazionale, che per quarant’anni era rimasto solidificato in una contrapposizione irriducibile. Nel mondo la sorpresa è stata colossale.
È vero che il modello di sviluppo (MDS) verde si era già manifestato esemplarmente con la lotta nonviolenta per la liberazione coloniale dell’India; e si era riproposto in una serie di rivoluzioni, nonviolente nel mondo: Cecoslovacchia 1968, Iran 1979, Filippine 1986. Ma i sapientoni politici avevano lasciato da parte tutto ciò come fenomeni politici laterali alla politica mondiale. Di fatto nel 1989 quel MDS è entrato nella storia come attore politico paritario ai due MDS (blu e rosso) che si erano spartiti il mondo e che si contrapponevano con la minaccia pazzesca di una ecatombe nucleare.
Ma se c’era qualcuno a cui comparsa di questo nuovo MDS non stava bene, questi doveva avere il tempo di intervenire. Cosicché, mentre i piccoli Paesi baltici, irraggiungibili dall’esterno, venivano lasciati lottare nonviolentemente fino alla completa liberazione (1992), gia nel 1990 è stata creata la situazione che poteva ribaltare la crescita politica del nuovo MDS, che poteva diventare il protagonista della successiva storia mondiale. Inopinatamente, il Vaticano e la Germania si sono precipitati a riconoscere la Slovenia, prima che la UE avesse il tempo di discuterne (Papa Woytila ha riconosciuto l’errore in una lettera, riportata dai giornali, al Segr. ONU).
Allora quel luogo di incrocio di etnie, lingue, culture, religioni che è la Jugoslavia, che pure sapeva ben lottare nonviolentemente (il Kosovo aveva iniziato per primo a chiedere l’indipendenza con mezzi pacifici e guidato da un autorevole leader nonviolento), ha iniziato una lotta armata di liberazione che è stata la più atroce e pazza del secolo.
La politica dell’ultima superpotenza rimasta, gli USA, col passare del tempo è apparsa sempre più chiara: per non contrastare le speranze mondiali, ha prima accettato che l’ONU cercasse di tamponare la guerra in Jugoslavia; ma l’ha ben fiaccato con il voluto ritardo negli ingenti pagamenti USA e poi gli ha imposto di intervenire con neanche un terzo della forza (36.000 uomini) che il Segr. ONU chiedeva. Arrivati al prevedibilissimo “fallimento dell’ONU”, i bombardamenti quasi indiscriminati dall’alto (l’unica strategia che gli USA si possono permettere senza utilizzare massicciamente contractors, cioè mercenari) hanno imposto la separazione della popolazione entro confini tracciati a coltello. Il Kosovo, che con la sua lotta nonviolenta era rimasto in sospeso perché ovviamente non permetteva bombardamenti, fu “maturato” con la nascita improvvisa dell’UCK, il suo riconoscimento come interlocutore, invece di Rugosa, nei colloqui di Rambouillet, e con la imposizione della guerra alla Serbia. Di nuovo bombardamenti e di nuovo una soluzione tagliata col coltello, da superpotenza che si impone su popoli coloniali (la costituzione della enorme base USA di Bronstedt ne è il segno evidente).
Cosicché la logica delle armi, che era stata già ribadita nel lontano medio Oriente con la prima guerra dell’Irak (ma che non funzionò molto bene perché Saddam Hussein sopravvisse fisicamente e politicamente), è stata stabilita nel centro dell’Europa. La morale è stata: il progresso delle armi ci vuole e in particolare ci vuole una superpotenza a regolare dall’alto il mondo; cioè ci vuole il mMDS blu. Con ciò è stata bloccata la prospettiva del MDS verde di farsi largo nella vita politica delle popolazioni europee.
La storia seguente la sappiamo. Nel luglio 2001 il G8 di Genova, che doveva celebrare il regno mondiale della superpotenza, si è trasformato in uno scontro senza pari con la popolazione. Lo scontro ha lasciato una lacerazione politica così profonda in Europa che era difficile trovare una via di accomodamento. Pochi mesi dopo, l’attacco dell’11 settembre ha permesso di manifestare la volontà di scontro, ma non con il MDS verde, che avrebbe coinvolto le popolazioni dei Paesi del MDS blu; piuttosto con l’altro MDS emergente, quello che la decennale guerra Irak-Iran, fomentata ed alimentata (anche con i gas venefici) dai Paesi del MDS blu dell’Occidente, non era riuscito a bloccare e che per di più si stava rafforzando economicamente (petrodollari), finanziariamente (v. famiglia di Bin Laden cointeressata negli affari finanziari di Bush) e politicamente (Lega Araba).
Allora gli USA, da unica superpotenza e massima espressione del MDS blu, si è data l’autorità di decidere che cosa era successo (Bush, che all’asilo ha aspettato mezz’ora per muoversi, già lo sapeva?), definire “terroristi” gli oppositori arabi del MDS, quelli che più temeva militarmente (invece con il MDS verde regola i conti a suo vantaggio nella economia e nelle piazze). Allora la vendetta della “guerra al terrorismo” è diventata la nuova dottrina del MDS blu, dagli USA ad Israele.
Quest’ultimo (che aveva temuto così tanto l’ispirazione nonviolenta della prima Intifada che l’ha contrastata sul nascere inviando il Mossad in Tunisia ad uccidere il suo leader, il vice di Arafat) allora si è sentito promosso ad epicentro della lotta politica mondiale, perché più di tutti aveva i “terroristi” in casa (kamikaze). Dalla nuova dottrina ha tratto tanto vantaggio politico da riuscire ad annullare la lotta dei suoi avversari politici(Intifada prima e seconda), riducendoli ad estremisti senza diritto di dialogo; anzi, è arrivato a costruire un vergognoso muro nazionale, a stringere d’assedio Gaza e a compiere l’Operazione Piombo fuso (1400 morti civili) senza subire alcuna sanzione internazionale.
Intanto la sinistra, cioè il MDS rosso, che nel 1989 ha visto sfuggirgli la storia (cioè la sua forza ideologica), invece di rinnovare la sua ideologia si ingegnava a fare le bucce alle rivoluzioni nonviolente, trovando che quelle arancioni erano state strumentalizzate dalla CIA; come se nel passato il MDS rosso non l’avesse sempre fatto (vedi ad es. nella sequenza storica della rivoluzione russa il ruolo dei populisti e dei tolstoiani). Ma la verità è lampante: su 323 rivoluzioni del secolo XX, quelle nonviolente sono state un centinaio le quali sono state vittoriose al 53%, mentre quelle violente al 26%. E nel periodo 1975-2002 delle 47 rivoluzioni nonviolente o per lo più, le 18 condotte da forze nonviolente e coese hanno vinto in 17 e una sola aveva avuto una vittoria parziale.
La rivoluzione (nonviolenta) aveva ribaltato il concetto di rivoluzione, per un secolo legato indissolubilmente alla parola violenta. Inoltre dall’India era passata nel 1989 anche nell’Europa dell’Est e in decine e decine di Paesi nel mondo. Sembrava che i popoli arabi non sapessero assumere questo atteggiamento politico perché era sempre apparso inconsistente (così come quello indiano appariva ai colonialisti Inglesi fatalista e senza coraggio). Ma proprio questi popoli hanno riservato un’altra grande sorpresa al sistema di potere del MDS blu; hanno compiuto rivoluzioni nonviolente prima contro il dittatore della Tunisia e poi quello dell’Egitto (pur finanziato con 1,3 miliardi di dollari l’anno dagli USA; Israele 3 miliardi) e poi in altri Paesi, con una determinazione e semplicità di strategia che ha abbattuto le dittature e ha spiazzato i centri di potere mondiali che stavano dietro loro.
Le popolazioni del MDS giallo si dimostravano capaci di grande efficacia nelle loro rivoluzioni nonviolente (in effetti il primo esercito nonviolento è stato negli anni ‘30 e ‘40 quello islamico dei Pshtun in Afganistan guidato da Bashdan Kahn). Con ciò si sono avvicinate, se non alleate, al MDS verde, ridando vigore alle prospettive del Sud del mondo (MDS giallo e verde) rispetto all’oppressione del Nord (MDS blu e rosso). Inoltre quelle rivoluzioni arabe hanno annullato tutte le critiche del MDS rosso; nelle loro rivoluzioni la CIA, che ovviamente difendeva le dittature messe su dal MDS blu) era stata scavalcata con una facilità disarmante (salvo in Libia?). Ma soprattutto quelle popolazioni arabe che hanno fatto le rivoluzioni nonviolente sono fuoriuscite in maniera evidente dallo schema in cui le aveva rinchiuse il MDS blu (terroristi). Quelle rivoluzioni hanno tolto ogni sostegno alla politica bellica che da dieci anni il MDS blu ha condotto in tutto il mondo per vincere lo “scontro di civiltà”. In occasione della rivoluzione egiziana Barack Obama forse si è ricordato per un momento di essere Premio Nobel per la Pace: ha contribuito alla rimozione del dittatore ed ha pronunciato discorsi solenni.

Tutto bene, allora?
No, Netanahiu l’ha detto subito. Se si lasciavano fare queste rivoluzioni fino a cambiare gli Stati e le lro politiche i i Paesi arabi (per primo l’Egitto, che ha una potenza militare comparabile) e poi la popolazione araba interna (quella ridotta a vivere in una prigione a cielo aperto) avrebbero avuto un rilancio politico enorme, tale da destabilizzare la stessa esistenza di Israele. Siccome la soluzione militare israeliana (uso delle 400 armi nucleari ) contro l’Iran già non andava bene agli USA (che lo hanno trattenuto per anni da questo atto di forza per non compromettere l’autorità morale del MDS blu nel mondo), allora ha fatto da solo: ha offerto 5 miliardi $ a Gheddafi (notizia dell’autorevole giornale israeliano Maarev, ripresa da vari organi di stampa, anche Il Tirreno) per sostenerlo nella sua guerra per restare al potere; per Israele Gheddafi è l’unico leader politico possibile perché laico e perché negli ultimi anni si è compromesso col sistema di potere occidentale in modo da non creare più problemi a Israele.
Forse all’inizio della rivoluzione nonviolenta libica gli Usa avevano fatto conto su una transizione guidata dalle tribù rivali a Gheddafi e le hanno sostenute in modi non appariscenti. Per Israele questa soluzione era molto oscura nella leadership e nella ideologia che ne sarebbero venute fuori; quindi non era una garanzia abbastanza sicura per la sua sopravvivenza; allora ha deciso la sua soluzione, che d’altra parte, in termini di lotta militare, appariva la più promettente della vittoria finale: sostenere Gheddafi anche a costi elevati di repressione interna (sui quali Isarele sappiamo che non si fa scrupolo). Allora Gheddafi si è sentito autorizzato (almeno da una parte del MDS blu) a schiacciare l’opposizione interna nel sangue e ha dichiarato (al mondo, ma anche a chi l’aveva finanziato) che in poco tempo sarebbe tutto finito.
La tempistica degli eventi trascorsi sembra sostenere con chiarezza questa linea di interpretazione: l’UE si è data una decina di giorni di tempo per riunirsi e così non prendere una decisione prima che sperabilmente Gheddafi terminasse la repressione; poi il 12 ha lasciato passare altro tempo rimettendo tutto all’ONU. Presi in contropiede, tutti si sono vincolati a rispettare la mossa a sorpresa di Israele, aspettando la sua vittoria finale attraverso Gheddafi.
Ma gli USA e gli altri Paesi del MDS blu si sono anche irritati della mossa fuori dal coro di Israele. Pur concedendogli i debiti tempi perché arrivasse alla sua soluzione, con il passare dei giorni, a motivo la soluzione non è arrivata nei tempi previsti, hanno fatto la loro mossa. Ormai di guerra interna si trattava; per intervenire occorreva fare guerra, o almeno un’azione militare che fosse la più “robusta” possibile.
Per farlo sapevano di avere come ostacolo l’ONU, che nel suo statuto dichiara di dover fare la Pace. Allora per fare decidere il Consiglio di Sicurezza dell’ONU hanno coartato la Lega Araba (che subito dopo si è pentita) e hanno presentato una mossa che apparisse “soft” (infatti Russia e Cina che i sono astenuti, poi ai primi bombardamenti si sono dichiarati “dispiaciuti”; più di così non potevano tornare indietro, loro che hanno usato il loro potere di veto l’ONU ha autorizzato che Gheddafi venisse combattuto da una armata Brancaleone (non la NATO, si noti! Altrimenti Russia e Cina probabilmente avrebbero votato contro), senza chiedere nessuna garanzia politica e militare. D’altra parte gli USA non impiegheranno truppe se non hanno il comando generale di cui per ora non si è deciso chi l’avrà. Mai vista una guerra così alla sans façon, che però arrogantemente fa conto sulla superpotenza tecnologica delle armi.
In realtà I Paesi del MDS blu hanno approfittato alla grande dell’occasione per ottenere quell’obiettivo politico che avevano aspettato da tanto tempo: la ingerenza umanitaria estesa a qualsiasi violazione dei diritti umani, senza limitazione dei mezzi e senza definire il tipo di intervento. Si tenga conto che è già pronto l’allargamento della NATO alla “Coalizione delle democrazie del mondo”, da imporre all’ONU come suo braccio esecutivo; che coprendosi con l’esecuzione di delibere dell’ONU, imporrà il MDS blu al mondo: ogni Paese non del MDS blu dovrà fare i conti con “l’ingerenza umanitaria” (magari causata da guerre di bassa intensità, tipo quella dei contras in Nicaragua)!
Ma (questo punto non lo spiega nessuno) all’interno dei Paesi del MDS blu Sarkozy si è manifestamente ribellato, annunciando raids unilaterali prima della decisione; e comunque facendoli mentre cenava assieme agli altri capi di Stato che lui aveva convocato per… decidere assieme! In effetti se ne vede una ragione. La superpotenza nucleare del Mediterraneo è la Francia da 50 anni e passa. Ma da alcuni anni la Germania ha regalato ad Israele tre sommergibili, che sono stati subito muniti di missili Cruise (caricabili anche con bombe nucleari). Dopo aver aiutato Gheddafi, certamente Israele sarebbe passata all’incasso; ad es. una base dei suoi sommergibili oltre l’Italia, sulla costa libica. Ma per la Francia non sarebbe piacevole avere dei sommergibili ad un tiro di Cruise; ne andava tutta la supremazia indiscussa della Francia. Da qui il contrasto scandaloso della Francia con la politica degli altri Paesi del MDS blu; e, d’altra parte il silenzio di Israele nel vedersi osteggiata nel mentre si sta facendo una posizione al sole d‘Africa.
Oggi l’Italia non sa bene da parte buttarsi: con Gheddafi che ci dà petrolio e il gas? Con gli USA, di cui siamo i più fedeli alleati? Con Israele, che incute un grosso timore, specie se si piazza in Libia con i missili? Con l’ONU, da raccattare col cucchiaino?. Di fatto il 21 l’Italia si è litigata platealmente (quando mai una guerra di coalizione si è fatta in questo modo?), chiedendo (ora! Come mai non prima?) che entri in gioco la NATO (il che significa che le consultazioni con i 28 Paesi prenderanno almeno una settimana). Probabilmente ha scelto di sostituirsi ad Obama per richiamare la Francia ad un minimo di ordine. Sullo sfondo gli interessi per il petrolio: in ogni Paese del MDS blu c’è troppo appetito per la enorme riserva di petrolio e di gas naturale della Libia, per rifiutare di perdere l‘occasione di averne il controllo, tanto più che l’Italia, che per ora ne gode, ha perso ogni prestigio internazionale (vedasi la faccia scura di Berlusconi nelle foto di Parigi).
Insomma un pasticcio internazionale. In cui il più forte, gli USA fa mosse politicamente gravi (anche per lui): schiacciare l’ONU sul gioco di potere mondiale del MDS blu, al fine di recuperare l’iniziativa politica mondiale e anche nel futuro gestire dall’alto i destini dei popoli del mondo, nel bene e nel male. Intanto l’azione scomposta di Sarkozy mostra come anche le sotto-superpotenze del MDS blu scalpitino per riafferrare un loro ruolo, anche al costo di contrastare apertamente Israele. Il pasticcio internazionale di questa guerra non è proprio basato su una bugia colossale, come fu per la guerra dell’Irak II (armi di distruzione di massa di Saddam Hussein), ma certo su voltafaccia improvvisi (amici di Gheddafi fino a due mesi fa, ora nemici acerrimi), prima i diritti umani della popolazione libica, poi difesa strapotente dei ribelli armati, prima no fly zone (l’azione giusto prima di una guerra dichiarata) e poi bombardamenti su tutti gli obiettivi militari (anche carri armati in marcia) specie se attorno ai pozzi petroliferi. Alla fin fine, anche morti civili e soprattutto fino a 6000 morti per l’uranio impoverito usato (vedi relazione del 20/3/2011 di Massimo Zucchetti, prof. di fascia A di Impianti nucleari al Politecnico di Torino e radioprotezionista).
Questa ricostruzione (compiuta ovviamente senza spulciare gli archivi militari e i dispacci segreti della diplomazia) può sollevare obiezioni. Ma una cosa è evidente e stride con ogni altra interpretazione: è stata saltata la ovvia decisione politica che si prende in questi casi e che in Sud Africa ha portato la politica internazionale a buon porto: le sanzioni economiche. Il Consiglio di Sicurezza dell’ONU ha fatto carte false per passare subito (quando mai era successo ciò?) all’azione bellica. Oggi i capi degli Stati occidentali danno uno spettacolo penoso di forza usata senza diplomazia, senza intelligenza e senza neanche la facile cooperazione (militare) tra i più forti. Si comportano con la stessa arroganza dei sostenitori della sicurezza delle centrali nucleari. E come insegnano Three Miles Island, Chernobyl e Fukushima, corrono con determinazione alla loro stessa rovina (purtroppo causando danni tremendi alle popolazioni).

Il giorno dopo l’11 settembre 2001 Papa Woytila gridò giustamente: “Non vendetta, ma giustizia”. Sono undici anni che continua la vendetta degli USA, da bravi texani che hanno scambiato il mondo per un glorioso teatro da far-west contro i “pellirosse”.
Il perché è che quel 20% che sfrutta l’80% dei beni naturali nel mondo non vuole vedere in pericolo la sua situazione di privilegio (dichiarata in tutti i Nuovi Modelli di Difesa NATO: “mantenere il livello di benessere della popolazione”). Il petrolio sta per finire, si tratta di vedere quale Paese nel gioco del fiammifero resterà per primo senza automobili. E’ dal 1991 che abbiamo le guerre per continuare a godere delle automobili, costi quel che costi (come in Italia ci ha insegnato Marchionne). “Dove sono i pacifisti?” Quando ho sentito risuonare questa domanda credevo che a pronunciarla fosse qualche responsabile politico che, avendo ormai capito qual è stata la vera storia del 1989, dopo vent’anni si fosse rinsavito e andasse cercando i gruppi che prima del 1989 (e anche dopo) hanno sostenuto la soluzione politica che aveva previsto la data di quelle rivoluzioni (Galtung nel 1980, basandosi su cinque fattori sociali strutturali) e che poi ha vinto. E’ tempo che vengano dati i crediti della pace: finanziamenti comparabili con i 1.500 miliardi di $ che si spendono ogni anno per le armi, rappresentatività decisionale a tutti i livelli politici (dal quartiere all’ONU), equiparazione della strategia con mezzi pacifici a quella con mezzi militari (così come ha avuto il coraggio di dichiarare la Corte Costituzionale italiana), attuazione statale delle tante proposte di intervento non armato e nonviolento…
Ma poi ho capito che era un falso allarme.
Quelli che pongono quella domanda sanno bene che il MDS blu e i suoi mezzi militari soon diventati poco credibili. Allora cercano chi tolga loro le castagne dal fuoco; sfidano quelli che lavorano per la pace a risolvere i problemi creati dal Nord del mondo, come se coloro che lavorano per la Pace avessero già ottenuto i crediti della pace ed avessero già avuto il tempo, in venti anni, di calibrare la loro politica internazionale di fronte a qualsiasi cataclisma (oggi addirittura la subordinazione dell’ONU).
E con il pregiudizio eurocentrico o occidentale, sfidano quelli che lavorano per la pace in Occidente a occuparsi di pace in tutti i Paesi del mondo. Quelli che pongono quella domanda non si sono ancora resi conto che il potere della nonviolenza ce l’ha insegnato un indiano, non un europeo. Oggi i primi pacifisti sono proprio quegli arabi che hanno fatto le rivoluzioni nonviolente in Tunisia, a Piazza Tahrir e che tuttora lottano nonviolentemente contro le altre dittature petrolifere imposte dall’Occidente. Lo sono così tanto che sono riusciti a solidarizzare al di là di tutte le frontiere nazionali nelle quali erano racchiusi.
Ma a quelli che pongono quella domanda non è bastato il fatto che nel giro di un secolo il mondo è stato trasformato quasi completamente. Forse per accorgersene aspettano proprio l’ultima tappa, quella che riguarderà quella zona che finora è rimasta senza le rivoluzioni nonviolente: proprio l’Occidente del MDS blu. Ma, si rassicurino, i loro capi di Stato fanno moltissimo per arrivarci rapidamente.

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