Quando l’agave fiorisce
Alla scuola dell’agave è possibile apprendere l’arte della speranza.
E della pazienza che accompagna la speranza. La vita. Un solo fiore prima di morire che si alza come una preghiera. Come una croce. In alto perché possa donare teneri semi. Promesse di vita.
Una Pasqua fuori dal tempio perché respiri il mondo più dell’incenso e trovi acqua anche tra i sassi aridi di una vita inutile. Apparentemente inutile.
Perché ogni vita è destinata a risorgere e non solo in un’altra vita. Anche nella vita che consegni alla terra. Alla terra di questa vita.
Non è inutile la tua malattia, né la tua estraneità. Nessuno è così arido da non poter generare un fiore. E semi. E vita. Non è vano il tuo andare anche quando sembra incompreso.
È sempre Pasqua.
Anche nell’ora della solitudine estrema. Nel balbettare di un Dio che si nasconde e di un uomo che sogna sogni che non sono i tuoi. Anche nell’abisso profondo che i salmi si rifiutano di cantare. È sempre Pasqua.
Il Cristo è il capostipite dell’umanità dolente e trafitta. Perché alla croce hanno inchiodato la sua debolezza e non la forza delle sue radici. Quel groviglio di sete che brama l’infinito nel buio della terra.
È sempre Pasqua. Ed è più che una scommessa. È dono. Ha la forza della gratuità. Una Pasqua che nessuna mano d’uomo ha seminato e che la terra non può soffocare. La tomba non può contenere. È vita. L’agave è il canto di Pasqua.