La paura del dialogo in Siria
Padre Paolo Dall’Oglio è un gesuita che da 30 anni vive in Siria e da 20 anima la comunità monastica di Deir Dar Musa. Due giorni fa per il tramite del vescovo, ha ricevuto l’invito del ministero degli esteri siriano a lasciare il Paese. Personalmente conosco la Siria dalla cose che mi ha raccontato padre Paolo. La sua è un’esperienza profonda: “Deir Mar Musa al-Habashi è un antico monastero situato nelle montagne desertiche di Qalamun. Dopo due secoli di abbandono, è stato restaurato e ospita una comunità monastica di monaci e suore, impegnati nel dialogo con l’islam, nella preghiera, nel lavoro manuale e nell’ospitalità. Molti siriani di tutte le fedi ci visitano per stare qualche giorno, qualche settimana o qualche mese con noi. Trovano un luogo di serenità, tolleranza e introspezione”. Ma il governo siriano ha paura anche di questo. “I siriani vogliono, e meritano, i diritti umani, a cominciare dalla stampa libera e dalla dignità della persona umana – dice padre Paolo. Dovremmo cercare un accordo con il negoziato, e garanzie internazionali. Naturalmente il rischio del fondamentalismo islamico esiste, così come quello dell’influenza di ‘complotti’ da parte di poteri regionali. Per questo i cristiani e le altre minoranze tendono ad appoggiare le politiche repressive. Ma la violenza e la discriminazione sono direttamente contrarie ai nostri valori etici. E non sono una garanzia per la nostra presenza a lungo termine; solo la vera fratellanza, il dialogo, la stima teologica dell’altro possono essere una garanzia”.