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Per non dimenticare

A poche centinaia di chilometri dalle nostre coste adriatiche, si è compiuto un massacro: ricordare Srebrenica è dovere morale.
Fabrizio Pucci (giornalista de “Il tirreno”)

“Srebrenica per non dimenticare” è una poesia lunga quarantasei pagine. Toccante, commovente. Composta con garbo e con il pudore di chi, nell’età adulta, avverte sulla propria pelle quasi un senso di colpa per non aver inteso la portata del genocidio della fabbrica di Potocari, quindici anni prima. Non ringrazieremo mai abbastanza la sensibilità matura di Stefano Landucci e quella giovane di Marco Bani per aver riportato alla luce questa imbarazzante, vergognosa pagina della storia recente della nostra Europa che, al contrario, vuole dimenticare, rimuovere. Deliberatamente. Scientemente. Grazie a questo libro-testimonianza, i ricordi, la storia di quei giorni sono finalmente nero su bianco.
I due autori, con il loro stile asciutto, essenziale, ma denso di emozioni, ci hanno portato con loro nel viaggio del dolore, della denuncia, dell’indignazione, della sete di giustizia. Si badi bene: di giustizia. Non di vendetta. Landucci e Bani accompagnano il lettore nel loro itinerario verso Srebrenica, passando per le città martiri della Bosnia: Mostar, ma ancora di più Tuzla, teatro della strage del 25 maggio 1995 quando furono, con due granate, uccisi 71 studenti scesi in piazza per festeggiare una tregua annunciata, ma mai rispettata.
Questo volume che testimonia la sofferenza di un popolo, c’è un filo rosso di speranza che abita a Mostar, come a Tuzla e infine a Srebrenica. A Mostar la ricostruzione del ponte simbolo della città la metafora dell’unione. A Srebrenica c’è un piccolo spazio per la speranza. Chissà. Forse è solo un pertugio. Minuscolo accesso verso un domani privo di odio, di risentimento. Difficile. Molto difficile, in un contesto dove, quindici anni dopo, puoi trovare gli autori del genocidio alla guida di un taxi o in un ufficio pubblico a rilasciare un certificato al figlio o al fratello di chi essi stessi hanno ucciso. Eppure quel pertugio c’è. Ed è stato aperto anche grazie al prezioso contributo di Stefano e Marco. La descrizione della loro visita ai luoghi del genocidio è una pugnalata al cuore. Loro e, di conseguenza, del lettore. Il loro istinto di distogliere lo sguardo dai muri ancora imbrattati di sangue rappreso e senza un filo di intonaco bianco visibile, non ha vinto dinanzi alla voglia di denunciare, di documentare. Di sperare in un futuro migliore in cui non dovrà mai più esserci un’altra Srebrenica. Diecimila morti. La chiamano pulizia etnica. Ma di pulito non c’è niente. Non le mani degli assassini. Non le coscienze di chi ha taciuto. Nel luogo del dolore la speranza passa attraverso confini strettissimi: una degna sepoltura da dare ai propri figli, fratelli, mariti. La strada che conduce all’eliminazione dell’“odio strisciante” che c’è ancora a Srebrenica è lunga e lastricata di sofferenza. Ma intanto quella strada c’è. E per un tratto Stefano Landucci e Marco Bani, con la loro opera, l’hanno costruita e percorsa. Anche per noi. Grazie.

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