ARMI

Chi arma la repressione

Come il mondo ha armato la repressione in Medio Oriente: un rapporto di Amnesty International denuncia la vendita di armi utilizzate oggi contro popolazioni che chiedono libertà e democrazia.
Riccardo Noury (portavoce della Sezione Italiana di Amnesty International )

Stati Uniti, Russia e altri Paesi europei hanno fornito grandi quantità di armi a governi repressivi del Medio Oriente e dell’Africa del Nord prima delle rivolte di quest’anno, pur avendo le prove del rischio che quelle forniture avrebbero potuto essere usate per compiere gravi violazioni dei diritti umani.
È la denuncia, circostanziata e piena di tabelle, contenuta in un rapporto pubblicato il 19 ottobre scorso da Amnesty International, che esamina le esportazioni verso Bahrein, Egitto, Libia, Siria e Yemen a partire dal 2005.
Anticipiamo le conclusioni, ma anche la possibile soluzione, riportando le parole della principale ricercatrice del rapporto, l’esperta di Amnesty International in materia di armi, Helen Hughes: “Le nostre conclusioni mettono in evidenza il profondo fallimento degli attuali controlli sulle esportazioni di armi, con tutte le scappatoie esistenti, e sottolineano quanto occorra un efficace Trattato sul commercio di armi che tenga in piena considerazione la necessità di difendere i diritti umani”.
I principali fornitori di armi ai cinque Paesi, di cui si occupa il rapporto di Amnesty International, sono Austria, Belgio, Bulgaria, Francia, Germania, Italia, Regno Unito, Repubblica Ceca, Russia e Stati Uniti d’America. La maggior parte di questi governi, da mesi, affermano di essere dalla parte dei popoli in rivolta nel Medio Oriente e nell’Africa del Nord. Eppure, sono gli stessi che, fino a poco tempo fa, hanno fornito armi, proiettili ed equipaggiamento militare e di polizia usati per uccidere, ferire e imprigionare arbitrariamente migliaia di manifestanti pacifici in Paesi come la Tunisia e l’Egitto e tuttora utilizzati dalle forze di sicurezza in Siria e Yemen.
Partiamo proprio dallo Yemen. Il rapporto menziona 11 Paesi (tra cui Bulgaria, Germania, Italia, Regno Unito, Repubblica Ceca, Russia, Stati Uniti d’America, Turchia e Ucraina) che hanno fornito assistenza militare o autorizzato esportazioni di armi, munizioni e relativo equipaggiamento allo Yemen, dove quest’anno hanno perso la vita circa 200 manifestanti.
Ottenere informazioni sul-l’afflusso di armi in Siria è difficile, poiché pochi governi riferiscono ufficialmente sui trasferimenti al governo di Damasco. Si sa che il principale fornitore è la Russia, che destina alla Siria circa il 10 per cento di tutte le sue esportazioni. Poiché tuttavia il governo russo non pubblica un rapporto annuale sulle sue esportazioni di armi, il suo contributo ai trasferimenti di armi nella regione non può essere quantificato.
Almeno 20 Stati hanno venduto o fornito all’Egitto armi leggere, munizioni, gas lacrimogeni, prodotti antisommossa e altro equipaggiamento: in testa gli Stati Uniti d’America, con forniture per un miliardo e 300 milioni di dollari all’anno, seguiti da Austria, Belgio, Bulgaria, Italia e Svizzera. I fucili sono stati usati massicciamente dalle forze di sicurezza, prima della caduta di Mubarak, con devastanti effetti letali.

Alcuni casi
Esaminiamo da vicino il caso del Paese meno noto, il Bahrein. Lo hanno armato e preparato all’attuale repressione, autorizzando le relative esportazioni, Austria (armi leggere), Belgio (armi leggere e munizioni), Finlandia (fucili e cartucce), Francia (armi leggere, gas lacrimogeni e granate stordenti), Germania (fucili d’assalto, parti di mezzi blindati e mitragliatrici), Italia (armi leggere), Regno Unito (mitragliatrici), Stati Uniti (fucili, gas lacrimogeni, manganelli e altre sostanze chimiche) e Svizzera (armi leggere).
Un capitolo a parte merita la Libia. Amnesty International ha identificato 10 Stati (tra cui Belgio, Francia, Germania, Italia, Regno Unito, Russia e Spagna) i cui governi hanno autorizzato la fornitura di armamenti, munizioni e relativo equipaggiamento al regime libico del colonnello Gheddafi a partire dal 2005.
A Misurata, quando la città è stata bombardata dalle forze di Gheddafi nel corso dell’anno, i ricercatori di Amnesty International hanno trovato munizioni a grappolo e proiettili da mortaio MAT-120 di provenienza spagnola, autorizzati per la vendita nel 2007. Si tratta di forniture proibite dalla Convenzione sulle munizioni a grappolo. La Spagna, però, l’ha firmata un anno dopo.
Buona parte dell’artiglieria pesante rinvenuta in Libia dai ricercatori di Amnesty International pare essere stata prodotta durante l’era sovietica, dalla Russia o da altri Paesi dell’Urss, soprattutto per quanto riguarda i razzi Grad, armi di per sé indiscriminate che sono state usate ampiamente da entrambe le parti in conflitto. Alcune delle munizioni recuperate erano anche di fabbricazione cinese, bulgara e italiana come, rispettivamente, le mine anticarro Tipo 72, componenti per razzi e i proiettili d’artiglieria da 155 millimetri.

Trattato internazionale
Il rapporto di Amnesty International riconosce che quest’anno la comunità internazionale ha fatto alcuni passi avanti, limitando i trasferimenti internazionali di armi a Bahrein, Egitto, Libia, Siria e Yemen. Purtroppo, gli embarghi sulle armi sono provvedimenti tardivi e insufficienti, vengono decretati quando una crisi dei diritti umani è già in corso e non tengono conto che le armi non scadono come i litri di latte. Nel caso della Libia, ad esempio, il fornitore (l’Urss) non esiste più e la fornitura continua a essere usata.
La soluzione è nel Trattato internazionale sul commercio di armi, proposto da Amnesty International, Iansa (Rete internazionale d’azione sulle armi leggere, in Italia rappresentata dalla Rete Italiana Disarmo) e Oxfam International.
“Ciò di cui il mondo ha bisogno è che si valuti rigorosamente e caso per caso ogni proposta di trasferimento di armi in modo tale che, se c’è il rischio sostanziale che queste potranno essere usate per compiere o facilitare gravi violazioni dei diritti umani, il governo dovrà mostrare semaforo rosso” – dice Helen Hughes.
Una regola del genere sarebbe fondamentale per prevenire conflitti ed è già contenuta nella bozza di Trattato che le Nazioni Unite riprenderanno a esaminare a febbraio. Quella regola non va tolta. In caso contrario, se l’industria delle armi e i governi licenziatari continueranno sconsideratamente a seguire la regola del “business as usual”, alimenteranno crisi dei diritti umani come quelle di quest’anno in Medio Oriente e Africa del Nord, distruggeranno vite umane senza motivo e minacceranno la sicurezza globale.
L’Italia, in questi ultimi anni, ha giocato un ruolo propositivo importante in favore del Trattato. Nel frattempo, però, la Rete Italiana Disarmo denuncia il rischio che il nostro Paese, con l’approvazione del disegno di legge “comunitaria” (AS 2322-B) attualmente all’esame della Commissione politiche comunitarie del Senato, diminuisca i controlli sui trasferimenti di armi previsti dalla legge 195 del 1990, considerata un modello a livello internazionale per i divieti che contiene, per i controlli e le misure di trasparenza.

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