DIALOGO

Attraverso il mare

Il Mediterraneo: La guerra, l’accoglienza, la pace.
Giovanni Giudici (Presidente Pax Christi Italia)

Come credenti, siamo costantemente interpellati dal dramma dal flusso di uomini, donne e bambini che giungono sulle nostre coste e dai recenti avvenimenti dei Paesi del Mediterraneo e, in particolare, del Nord Africa. Proviamo a ricostruire alcuni elementi essenziali per una lettura dei segni del nostro tempo.
La crisi attuale è prodotta da cause remote e recenti; tra le prime, riconosciamo anzitutto le antiche abitudini eurocentriche di conquista e di utilizzo delle terre del continente africano. Dopo il vuoto lasciato dall’impero ottomano, ecco l’ingresso delle nazioni europee con diverse modalità di conduzione politica ed economica: il regime di protettorato per l’Egitto, la tremenda esperienza della riduzione a “territorio metropolitano” per l’Algeria, e tutta una gradazione intermedia di condizioni di soggezione. Successivamente, siamo posti di fronte alle nazioni della sponda sud del Mediterraneo con la persuasione che valesse la pena di sostenere regimi dittatoriali anche islamisti, perché non andasse perduto il territorio strategico o ricco di risorse. La caduta del muro di Berlino consente l’ampliarsi della globalizzazione dell’economia mondiale e il Mediterraneo diviene la “nuova frontiera” tra mondo sviluppato e mondo sottosviluppato, tra civiltà occidentale e civiltà “altre”, tra cui innanzitutto quella arabo-musulmana. L’insoluto conflitto israelo/palestinese continua a condizionare la geopolitica dell’intera regione mediterranea.
La logica mercantile dell’Occidente continua a ridurre gli investimenti alle iniziative locali a favore di mezzi e di finanziamenti che vengono indirizzati all’economia globalizzata. La ricerca delle risorse energetiche, la vendita di prodotti dei Paesi industrializzati fanno sì che gli operatori economici locali siano espropriati delle loro produzioni.
Oggi, i mezzi di comunicazione di massa hanno collegato strettamente tutti i popoli e in particolare hanno consentito che l’immagine del benessere, di cui può godere una parte relativamente piccola del pianeta, sia a portata degli occhi, e quindi del cuore degli abitanti la sponda opposta del mar Mediterraneo. La comunicazione tecnologica consente di vivere virtualmente un avvenimento e di renderlo planetario.
Si sono affacciati alla ribalta della storia i social network i quali sono caratterizzati da facilità d’uso, possibilità per l’utente di inserire contenuti e di renderli visibili. L’incrocio fra questi nuovi media e le tecnologie mobili – smart phone, I-pad – ha steso una rete quasi globale sulla società civile. È cronaca di questi anni, come i social network hanno rivelato informazioni, hanno insegnato ai manifestanti ad affrontare le forze di sicurezza, hanno convocato folle nelle piazze. Si incomincia nel 2005 in Egitto con il movimento Kefaya (abbastanza) contro la rielezione anticostituzionale di Mubarak; si continua con il sostegno a uno sciopero di operai, schiacciato dalla violenta reazione della polizia, nel 2008. Dall’esperienza egiziana si passa alla Tunisia, dove uno sciopero di operai e un movimento simile a quello egiziano, richiama l’azione popolare. Da qui poi in Serbia… In Nord Africa, la censura e l’oscuramento dell’accesso a internet hanno provocato la reazione della gente che si è riversata nelle piazze per cercare dignità e libertà. Non si tratta di una “rivolta del pane”, ma di una esigenza più profonda e decisiva, sia per l’età di chi la manifesta, sia per le richieste alte e significative che vengono gridate dalla gente.

Abitare la storia
Dobbiamo cercare una prospettiva da cui collocarci per comprendere da credenti il nostro tempo (“Fate attenzione al tempo favorevole in cui vi siete venuti a trovare!”, Lc 12, 54-57). L’unitarietà della nostra vita può essere ricostituita proprio a partire dall’incontro con il Maestro, domandando a noi stessi, come singoli e come comunità cristiana, quali azioni, quali sentimenti, quali disposizioni d’animo coltivare per riconoscere la parola dello Spirito che risuona in questo momento della storia.
Anzitutto, dobbiamo considerare sul serio il fenomeno della globalizzazione che, come è noto, consegue a tutte quelle tecnologie che hanno consentito di spostare i capitali da una zona del mondo all’altra, e di quella facilità di comunicazione che rende possibile alle persone di muoversi da un Paese all’altro. Non si può accettare che l’economia, divenuta vagabonda e onnivora, sia da difendere o da promuovere solo nei nostri interessi. La globalizzazione deve diventare modalità di partecipazione e corresponsabilità nell’economia, nei diritti dei cittadini e nel diritto del lavoro, per avere un senso. Non siamo forse chiamati a camminare in questa prospettiva? È sufficiente una tiepida simpatia per i Paesi che ricercano la propria strada nella democrazia, per riscattarci dalla interessata incertezza con cui abbiamo seguito lo sviluppo dimezzato di questi Paesi?
Abbiamo il dovere di desiderare e di realizzare una democrazia reale, sia nel nostro Paese, sia in quelli che stanno sulle rive del Mediterraneo. I social network e le moderne tecnologie hanno consentito ai movimenti sociali locali di irrompere dentro i luoghi del potere per imprimere una agenda adatta alla modalità di organizzazione di una società matura e solidale. Rischi a parte, le nuove vie di comunicazione sono in grado di integrare più profondamente le idee e la capacità organizzativa; hanno la forza per aiutare gruppi e singoli a trovare un comune progetto e di attuarle in tempi brevi.

La guerra
Premesso questo, ci domandiamo cosa sia in realtà la guerra con il suo corteo di violenza, di distruzione, di morte. È strumento assolutamente inadatto a regolare i rapporti tra gli Stati come già la nostra Costituzione dichiara. Ogni intervento militare non sostenuto o autorizzato dalle organizzazioni internazionali è da considerarsi un’aggressione.
Bisognerebbe rinnovare l’impegno per operare concretamente affinché le relazioni internazionali assumano un nuovo volto più solidale, più unitario e più attivo. Anche in questo caso è interessante misurare quali effetti l’Unione Europea ha prodotto, nel decennio scorso, agendo come una calamita di attrazione dei Paesi vicini e di fatto introducendo un cambiamento positivo nei temi dell’economia e nei diritti civili. Si era giunti, all’inizio degli anni Novanta, a operare per una politica comune degli Stati europei nei confronti dei Paesi che si affacciano al Mediterraneo; nel 1995 a Barcellona era stato siglato l’accordo per l’avvio di un programma di Partenariato Euro-Mediterraneo (PEM), basato su una cooperazione globale e solidale in cui, fra le priorità, emergeva l’impegno a instaurare “la pace, la stabilità e la prosperità nella regione mediterranea”.
Vengono delineate tre prospettive di lavoro: partenariato per promuovere pace, stabilità e sicurezza; partenariato economico-sociale; partenariato culturale, umano, per promuovere la conoscenza e la comprensione tra i popoli e attuare un migliore rapporto reciproco, dando primaria importanza al dialogo interculturale e interreligioso.
Le vicende seguite all’attentato di Lockerbie (1988-1991) che indussero gli Stati Uniti a entrare nella politica mediterranea; l’attentato alle Torri Gemelle (11 settembre 2001) e l’immagine dello ‘scontro delle civiltà’ resero inefficaci i patti del PEM. Da allora gli europei continueranno ad avere un interesse intermittente per la realtà dei Paesi del sud del Mediterraneo.
Se ci vorremo porre come partners credibili dei Paesi in cambiamento, occorrerà anzitutto rispettare e far vivere la democrazia nel nostro Paese, perché la crisi del nord Africa è una sorta di specchio deformante che mette in luce i difetti che segnano anche la nostra democrazia.

La religione
Da ultimo, accenno al tema del dialogo tra persone che appartengono a religioni diverse. Anche qui è riconoscibile un cammino per la crescita della consapevolezza dei tempi nuovi che ci sono dati da vivere, e per aiutare le persone, in particolare i credenti, a vivere la condizione del Mare di Galilea.
L’opinione corrente sul tema religioso è pessimista perché si ritiene che la religione è in se stessa operatrice di divisioni. Fede e ragione sono però compatibili. Attraverso questa dimensione ragionevole della vita, è possibile giungere alla reciprocità tra le confessioni religiose, perché di fronte al diritto che esigono per se stesse, sono tenute al rispetto dei diritti degli altri, compreso il rispetto per i giusti limiti nell’esercizio della propria libertà religiosa.

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