Il principio speranza
(settembre 2007).
Mi sembra una parabola anche l’epilogo della sua vita. Padre Balducci non è morto nella sua stanza da letto dove, accanto al crocefisso, era appeso un planisfero. “Così – soleva dire svegliandomi – prendo le misure dell’orizzonte del mio impegno”. Lui, il teorico dell’uomo planetario, invece che spegnersi sotto la simbologia di quel villaggio globale, nelle cui tende aveva collocato il domicilio, ha chiuso il suo cerchio terreno sulla strada.
Una lezione dì speranza all’aria aperta.
Aveva appena pubblicato l’ultimo suo libro, dal titolo emblematico, “La terra del tramonto: saggio sulla transizione”. Con questa morte, sembra che abbia voluto crearne anche la sceneggiatura. Un tramonto. La transizione da una città all’altra. Lo stato comatoso, il simbolo, cioè, di un universo culturale giunto oramai al crepuscolo.
Il raggiungimento della speranza. Quel “principio-speranza” che non smetteva di predicare e che ha costituito il filo rosso di tutta la sua esistenza umana e sacerdotale. In fondo qual è il tema generatore che negli ultimi tempi assillava il suo articolato pensiero?
Utilizzando una terminologia cara a Bloch, egli parlava di un uomo edito e di un uomo inedito. Il primo è quello che si è realizzato all’interno di una cultura e che ha prodotto una strumentazione di categorie, di apparati, di codici, di cifre interpretative. Il secondo, l’“homo abscondìtus”, è quello delle infinite possibilità di realizzazione che ancora non si sono attuate. Noi dell’Occidente siamo prigionieri di un’immagine univoca di uomo, nella quale abbiamo preteso di inglobare monisticamente tutta la realtà. Ora, questa immagine si sta lacerando. La nostra cultura, intesa come paradigma di unificazione dell’umanità, è in crisi irreversibile. In stato comatoso. È al tramonto. Su una mappa planetaria emergono nuove potenzialità. […]
Il senso del nuovo tempo è che l’Occidente si disponga a ricevere i doni che gli vengono da lontano e cioè le forme di umanità che traducono l’inesauribile fecondità della specie e distendono dinanzi al futuro un repertorio di risposte infinitamente più ricco di quelle in possesso della civiltà faustiana. Non basta la tolleranza, la virtù illuministica: occorre un atteggiamento dinamico in grado di promuovere la nascita di ciò che attende di nascere. Amava ripetere con Levi-Strauss “Bisogna ascoltare la crescita del grano. incoraggiare le potenzialità segrete, risvegliare tutta le vocazioni a vivere insieme che la storia tiene in serbo: bisogna anche essere pronti a considerare senza sorpresa, senza ripugnanza e senza rivolta quanto queste nuove forme sociali di espressione non potranno mancare di offrire di inusitato”.
Padre Balducci se n’è andato così. Con questa ultima lezione all’aria aperta. In cammino. Ha fatto così il suo transito. Il suo passaggio. Anzi, la sua Pasqua.
[…] Sapeva parlare. Ma sapeva anche tacere. Il criterio del suo silenzio, però. non era. la prudenza, o peggio la paura. Ma era la sapienza. Parlava spesso di. doppia fedeltà: a Dio e all’uomo, al regno di Dio e alla città terrena. Ma non di doppia morale. E neppure di doppia coscienza.
Perciò è stato sempre un uomo libero. Proprio perché fedele al magistero della povera gente. Ed è stato maestro, amato oltre che ammirato, i suoi discepoli oggi sono tantissimi.
Forse è prematuro sognare le mietiture derivanti dalle seminagioni sparse a piene mani dalla sua coinvolgente parola. Ma non è prematuro affermare che con la morte di questo altro profeta i suo discepoli clandestini verranno alla luce. E si aprirà il cerchio. Il cerchio delta speranza.