Allo stesso tavolo
L’esperienza della vita comune alla Badia fiesolana.
Alla fine degli anni Settanta, nel corso dei miei studi teologici, ho vissuto accanto a padre Balducci come ospite temporaneo nella comunità della Badia fiesolana. Ho avuto l’opportunità di respirare quotidianamente il clima di grande apertura culturale che faceva di quel luogo – come si direbbe oggi – un cortile dei gentili, un laboratorio di dialogo senza frontiere. E ho potuto cogliere, nello stesso tempo, anche gli aspetti feriali e meno pubblici della sua poliedrica personalità, della sua fine sensibilità umana, del suo sobrio e coerente stile di vita quotidiana.
Al mattino presto, ancora buio, sentivo provenire dalla sua camera il veloce ticchettio della macchina da scrivere che segnava già l’inizio di un’intensa giornata di lavoro. Poi la preghiera comune, la colazione e lo sguardo attento, anche se rapido, ai principali quotidiani nazionali, dal Manifesto all’ Osservatore Romano, e a qualche testata straniera,
Durante i pasti potevamo confidenzialmente sperimentare una sorta di convivialità delle differenze tra opinioni diverse sui fatti del giorno o sulle grandi questioni della Chiesa e del mondo. Quando la discussione era più accesa, padre Ernesto, sorridendo, interpretava il ruolo del perdente messo in minoranza dai commensali più realisti e conservatori, che lo consideravano un illuso sognatore. La celebrazione liturgica precedeva ogni giorno la cena, poi c’era il rito dello scopone scientifico con i confratelli e infine un po’ di tempo alla TV. Si rimaneva insieme a guardare il telegiornale, un film, un documentario o una partita di calcio. Ma spesso, ritenendo il programma noioso o di scadente qualità, lui preferiva tornare alla macchina da scrivere fino a tarda sera.
In quella vetusta residenza degli Scolopi, già appartenuta alla famiglia dei Medici, erano due gli appuntamenti settimanali attesi da padre Ernesto e curati personalmente con particolare premura. Uno era quello dei venerdì di Badia a cui partecipavano abitualmente tanti amici e simpatizzanti. Si cominciava con l’Eucarestia nella cappella domestica della comunità e lì tutti potevano liberamente dare voce alla Parola con la propria riflessione e la preghiera spontanea. Successivamente si passava in sala pranzo per condividere il pane di casa in un clima di gioviale familiarità. Infine, nell’emeroteca, Balducci, presentando l’autorevole ospite invitato per l’occasione, introduceva il tema di attualità oggetto della conversazione.
Ricordo ancora la vivacità del dibattito che, a volte, si protraeva fino a mezzanotte, e che lui sapeva abilmente condurre consentendo a tutti di esprimersi in un sereno confronto e nel pluralismo delle posizioni. All’ordine del giorno erano sempre argomenti di grande rilevanza teologica, politica, sociale, economica e l’intento era quello di cogliere le sfide epocali dell’uomo planetario, dalle frontiere inedite della bioetica, alla dissoluzione del mondo bipolare, dal tramonto delle ideologie e dei miti dell’Occidente, alla Chiesa dei poveri e alla cultura della pace.
Incontri certamente d’avanguardia e intrisi di calde utopie, animati da testimoni d’eccezione come - per citarne alcuni – Jurgen Moltmann, Ernesto Cardenal, David Maria Turoldo, Luigi Ciotti, Luigi Bettazzi, Mario Gozzini, Giampaolo Meucci, Paolo Barile.
Il secondo appuntamento, la Messa domenicale nella chiesa grande della Badia, vedeva accorrere tanta gente dalla città e dai dintorni fiorentini. La sua omelia durava circa 25 minuti e per noi uditori, sospesi in un assorto silenzio, era come un tempo prezioso per accogliere perle di luce liberate dai meandri oscuri della cronaca e innestate nel cuore del Mistero. Immerso quasi anche fisicamente nella Parola proclamata – le mani sul volto come a voler custodire lo sguardo profondo del contemplativo – riusciva a sprigionare, con fascinosa eloquenza, il fuoco della profezia, indicando poi, con saggio realismo, la linfa vitale capace di far fiorire il mandorlo anche nel cuore dell’inverno. (“Il mandorlo e il fuoco” è il titolo dato alla raccolta delle sue omelie).
Più volte negli anni successivi alla mia esperienza fiorentina, sono tornato a salutarlo, soprattutto in occasione di alcuni grandi convegni da lui organizzati col titolo “Se vuoi la pace prepara la pace”. Mi chiedeva notizie di don Tonino, voleva sapere se dall’alto gli procuravano noie che lo potessero frenare. “Se i poveri gli vogliono bene – mi disse una volta – digli di stare sereno perché allora è sulla buona strada”.
Ed è su quella strada dove la pace e i poveri camminano insieme che tanti di noi, amici di padre Balducci e di don Tonino, vogliono ancora esserci per proseguirne il cammino.