La dignità universale
Perchè nessuno possa dire di non sapere.
Perché nessun diritto può essere barattato.
Perché i diritti umani non siano mai oggetto di baratto per gli interessi di pochi e i vantaggi economici di un gruppo più o meno grande di privilegiati. Perché nessun silenzio ci renda inconsapevoli complici della tortura, della sparizione forzata, dell’uccisione di avversari politici e oppositori, di inermi contadini o di sindacalisti rurali. Perché nessuno possa dire, alla fine, di non saperne nulla o di non essere stato informato. Perché nessuno assecondi politiche assassine dicendo che i giochi dei potenti sono molto più grandi di noi e che non possiamo farci nulla. Perché nessuno si nasconda dietro un dito dicendo che alla fin fine i diritti umani sono un’elaborazione dell’Occidente che non riguarda i Paesi che non si riconoscono negli stessi percorsi storici, culturali e valoriali. Perché nessuno dica che l’intervento militare in alcune aree del mondo era inevitabile per difendere i diritti umani di quella popolazione mentre da tempo si denunciavano le violazioni lì come altrove. Perché ciascuno sappia che è peccato – religioso o laico – di omissione, l’indifferenza, il voltare la testa, distrarsi, assecondare, restare inerti… Perché nessuno privilegi una parte del mondo rispetto al globo che da tempo è un villaggio. Perché nessuno si dica concentrato sulla difesa di uno o più diritti a dispetto di altri, sapendo che sono universali e indivisibili. Perché nessuno approcci il tema dei diritti umani come oggetto di studio da laboratorio e di indagine accademica senza vedere il sangue e la sofferenza, senza udire il grido e il pianto e il lamento. Perché nessuno pensi che si tratti solo di una dichiarazione intesa come una lista di buone intenzioni, di orizzonti universalmente irraggiungibili, di utopie che mai potranno trovare la realizzazione concreta in ogni angolo del pianeta. Perché nessuno possa affermare che il processo di liberazione, di protezione, difesa, promozione dei diritti umani spetti unicamente ai rispettivi popoli senza il concorso indispensabile, fraterno e responsabile della solidarietà internazionale. Perché nessuno dica che noi abbiamo ottenuto i diritti con il nostro sacrificio e senza l’aiuto di altri e che perciò così facciano gli altri. Perché nessuno – nell’epoca di internet e della comunicazione veloce e diffusa – possa accampare la scusa di non sapere. Perché a nessuno capiti di condannare negli altri l’omertà che non si rende conto di osservare scrupolosamente quando si tratta di diritti negati lontano dai propri occhi ma vicino alla propria coscienza. Perché nessuno corra verso le più lontane latitudini del mondo senza farsi carico dei diritti negati al proprio vicino, nella fabbrica della sua città o dalla testata giornalistica locale. Perché nessuno viva l’incoerenza di proclamare ad alta voce i diritti umani universali e di giustificare cinicamente e ipocritamente quelle micronegazioni quotidiane che spesso ci vedono protagonisti. Perché nessuno faccia finta di non vedere la negazione dei diritti o quantomeno la mancanza di rispetto anche nel nostro partito, nella nostra chiesa, nella nostra associazione, nel nostro circolo, nella nostra cerchia. Perché nessuno ritenga di non riuscire a comprendere il contesto culturale o la storia particolare di un Paese tanto lontano come la Cina o la Siria o il Medio-Oriente o l’Africa subsahariana da non potersene interessare.