Carezze e graffi
di cieli nuovi e terra nuova.
Vogliamo dare spazio a don Tonino, alle sue parole. Rilanciare – come scrivevamo nel numero di gennaio – le sue provocazioni evangeliche rivolte alla Chiesa, alle istituzioni, alla politica e al popolo della pace. Lo facciamo riportando quanto scritto da don Tonino in occasione della morte di padre Turoldo (6 febbraio 1992), un suo grande amico e grande profeta dei nostri tempi.
L’ultima volta che l’ho visto è stato l’anno scorso. Andai a trovarlo a Padova, in ospedale. Vibrava sotto le flebo, come un leone incatenato. E anche quella volta mi ruggì versi d’amore per la Chiesa.Sempre così, padre Turoldo. I suoi ruggiti bisognava decodificarli. Senza la ritrascrizione in chiave d’amore della colata lavica dei suoi sentimenti, si rischiava di provare sconcerto. Quando parlava delle nostre lentezze di pastori, o dei ritardi con cui certe denunce stentavano a partire, o dei pavidi silenzi delle comunità cristiane sul tema della pace e della giustizia, sembrava che tirasse fuori le unghie. Ma bastava guardarlo negli occhi o spiare le inflessioni con cui moderava le caverne della sua voce, per accorgersi che sotto il precipitare dei paradossi non si celava la voglia del graffio, ma la passione della carezza. Magari una carezza in po’ rude, come quella di un figlio che vuole blandire sua madre, ma nello stesso tempo vuole detergerle il volto macchiato, perché risplenda ancora più bello allo sguardo degli altri.
Padre David, l’ho incontrato tante volte. Nelle assemblee studentesche della mia terra salentina, e nei grandi raduni di pace del’Arena di Verona.
Nello studio di Sotto il Monte, fucina della sua struggente poesia, e nelle liturgie usuali col calice tra le mani, pronto come il vescovo Romero, a mescolare il suo sangue con quello di Cristo. L’ho sentito tante volte nell’impeto di fuoco con cui si scagliava contro le violazioni dei diritti umani, e negli estuari dolcissimi ma pur sempre inquietanti entro cui si placava il suo genio. L’ho incrociato tante volte nei momenti più drammatici della nostra storia contemporanea e nei dibattiti travolgenti in cui, dopo aver messo a nudo le nostre ipocrisie, faceva balenare ansie di cieli nuovi e di terre nuove. Ma ho sempre letto, sotto la scorza delle sue immagini, una grande passione per la Chiesa. La sua madre Chiesa, alle cui labbra, per le lodi del Signore, ha prestato i ritmi della bellezza.
Confesso che ancora oggi, ogniqualvolta nelle povere chiese di campagna si levano le cadenze del salmo 22 “Il Signore è il mio Pastore, nulla manca ad ogni attesa”, mi lascio anch’io afferrare da un’incontenibile tenerezza. Penso che “pur se andassi per valle oscura, non avrò a temere alcun male”, e mi allarga l’anima alla speranza. Penso con gioia che “bontà e grazia mi sono compagne, quanto dura il mio cammino”, e seguo le piste che mi portano diritto all’incontro con Dio.
Ma penso anche a lui: a padre David Maria Turoldo che, negli ultimi due versi di questa sua splendida traduzione, dissipando ogni equivoco su certi suoi moduli espressivi, ha impresso senza saperlo il marchio di origine controllata sul suo indistruttibile amore per la Chiesa: “… io starò nella casa di Dio, lungo tutto il migrare dei giorni”. (don Tonino Bello, 16. 02. 1992)